venerdì 18 luglio 2008

ponti fragili, sospesi in aria

Non siamo qui, non davvero. Ci forziamo ad essere per contrastare uno spaziotempo che cerca di estrometterci, un mondo che penetra per contatto senza chiedere permesso, portandoci fuori da sè. Fuori da noi.
Fratture e fragili suture che cercano di tenere legati così da non finire totalmente fuori asse, così che i pensieri e i sentire possano ancora fluire senza trovare ostacoli sul loro sentiero. Ma poi inciampiamo, di continuo, e mentre facciamo finta che non sia così e neghiamo la cosa non facciamo altro che rinsaldare quella distanza fredda e lontana che si è andata a creare.
Qualcosa non funziona più, si recitano copioni imparati un tempo a memoria e resuscitati in incerte reminescenze, giocando con dei noi che forse non esistono più. Almeno non più con quella forma, in quello stare. Non ci capiamo più, non ti capisco, non mi capisci, ci feriamo in un niente, suoni uditi ma non più intesi.
Kairos che ci reclamano e noi a far finta di niente, convinti che un giorno si decideranno a tornare per noi, ci faranno ancora visita. E mentre lascio scorrere via penso che voglio essere io a negarmi ad esso, a questo spaziotempo, io a creare e decidere i miei momenti opportuni.

-Non si tratta di pensieri. Perchè mai non capite? Dovreste piuttosto affrettarvi, se davvero volete trovare quanto cercate. Presto non vi sarà più spazio, presto sarà tutto completo, finito. [...] Mari, montagne, isole, continenti, ovunque vi è già qualcosa... All'inizio tutto era bianco e vuoto. Ora non ci sono più che pochi spazi liberi. Se volete, sceglietevene uno.
Cyril fissava il mappamondo roteante.
-E secondo lei che cosa avverrà quando ogni spazio vuoto sarà riempito? domandò.
Il vecchio fece nuovamente udire quel suo rumore ansimante e strano, poi rispose -Che cosa ne so? Si vedrà. Forse la fine del mondo. E' quello che spero.
Cyril fermò il mappamondo. Vi era ancora una minuscola macchia bianca. Vi pose sopra il dito.
-Qui, disse.

Mi rifiuto, mi ribello al tempo e alle sue gabbie, alle mie gabbie, alle mie paure, alle nostre paure, ai pregiudizi troppo stupidi per potersene fare fermare, così mortiferi, mentre l'istinto vitale è tutto ciò che bisogna seguire, che a saperlo ascoltare e sapersi ascoltare si è sempre al di là del bene e del male, fedeli a sè, vivi, aderenti a sè, e non serve altro, nient'altro da chiedere o volere.
Non mi voglio piegare alle nostre paure, non voglio sottomettermi al sentirmi inadeguata e fuori luogo, che ciò che fa bene è per sua natura buono, da accogliere senza condanne ipocrite, da seguire e da cui farsi condurre.

E quando non riesco ad abbattere i muri nei pensieri o con le parole, allora lo faccio col corpo, con ciò che posseggo di più istintuale, di più vivo, che le parole spesso portano con sè distanza, fioriscono malintesi. Ci sono troppi pensieri, troppi vissuti, nelle parole.
Ma in un colpo d'occhi, un sorriso, un abbraccio, siamo noi, noi che traspariamo, diventiamo trasparenti a noi stessi e a chi ci è caro nei nostri gesti.
E allora per primo cerco il terreno che più istintualmente ci unisce, quello dove possiamo toccarci per poterci incontrare di nuovo, al di là di ogni difficoltà.
E' un ponte tibetano sospeso sull'abisso, un'impalcatura fragile, ma solo un ponte è possibile ora, ponte che aiuta a toccare senza tuttavia avvicinare così tanto da far collassare nello schianto, ponte esile che mantiene la distanza ma è in grado di guardarla, sospeso in aria, per cominciare a traversarla.

-E' passato quel tempo...
Quale tempo? Quello iniziale, della sfiducia e della vergogna? Quando ancora estranei si indovinavano ma non si conoscevano e si sentivano a proprio agio soltanto a letto, e anche lì solo fino a un certo punto: lei si abbandonava con fuoco, con fame di tenerezza, lui la educava a poco a poco, con pazienza. Erano come in prova a quel tempo. [...] Malgrado la delicatezza e il conforto di cui godeva, magrado le costanti attenzioni e l'afffetto crescente, quell'inizio aveva muri e inferriate come una prigione. E questo non tanto a causa delle limitazioni imposte dalla prudenza o dalla discrezione: quei muri erano dentro di loro. [...] Erano come in prova a quel tempo, il tempo della semina, con muri e inferriate, un periodo difficile.
Quale tempo? Quello in cui i semi germogliarono e sbocciò il riso? Quando alla voluttà si era aggiunta la tenerezza.

Note, contatti, colori, in cui toccarsi.
Ti cerco per istinto vitale...

[M. Ende, J. Amado]

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