sabato 30 agosto 2008

inessenzialmente

io...
Stanca.

E non voglio vedere che forse in fondo l'esigenza è solo mia.
Ci si vende per soldi. Oppure per parole, sguardi, attenzioni di un momento o poco più. Ma alla fine si arriva sempre allo stesso punto. E alla stessa considerazione di sè...
E poi ti svegli e ti chiedi perchè, cosa stai facendo, se ci sia un senso in questo teatrino di maschere che non sanno far ridere. Nemmeno piangere in realtà, e stanno lì, mute, appese al muro, senza nessuna parola da dire, le storie da raccontare dimenticate da tempo.
E tanto cederò a me stessa fin troppo presto, buoni propositi e orgoglio verranno sotterrati ancora vivi sotto la sabbia.

Il mio fedele censore farà il suo sporco lavoro anche stavolta, con ogni attenzione e cura possibile.
-Vedi, è che cadi nell'inessenziale...


restano campanule rovesciate che puntano il cielo
una terra secca e viola fragili che respirano acqua

giovedì 28 agosto 2008

random mind

Marmellata d'arance grezza, mele a pezzi e arance in frammenti che si rompono morbide, la buccia tagliata fine, quasi inosservata.
Inverno pieno, una casa piccola al settimo piano.
Da piccola avevo ricevuto dei cioccolatini, una scatola intera. Erano finiti sul fondo di un cassetto, nascosti per bene perchè in casa non venissero fatti fuori prima che io nemmeno potessi sentirli. Conservati con gelosia maniacale, senza toccarli perchè non finissero, e alla fine la cioccolata sapeva di sapone, di tutte quelle roselline bianche che profumavano i cassetti di legno pesante. Confessioni di un viso triste e un tesoro ormai inutile.
Non bisognerebbe conservare le cose così a lungo. Tenerle in un angolo, chiuse al sicuro e al riparo dagli sguardi, convinti di tenerle così in serbo per un domani. E poi, quando andiamo a cercare ciò che abbiamo con cura messo via, scopriamo che nel silenzio ha cambiato forma. E non riusciamo più ad avvicinarci, a gustarne il sapore o il profumo, a sorriderne.
Marmellata d'arance, conservata per mesi, con cura, forse senza sapere nemmeno bene perchè. Oppure sì, tenuta per colazioni immaginarie in giorni che poi non sono venuti. Ma a un certo punto bisogna lasciar andare, accettare che l'inverno è passato e con lui anche la primavera. E ora anche l'estate sta per finire. Pochi mesi e ci saranno le arance nuove.
E ieri ho aperto il vasetto, pane appena fatto e burro leggero per foglie gialle di fine estate.

Carezze che non sanno di esistere, bruciate d'ocra in contatti troppo forti che dimenticano dolcezza e cura. E forse per quello il mio viso prende tinte spente di viola, nel bisogno di abbracci per mettersi a nudo, calore dolce per sentirsi al sicuro.
Pane caldo appena imburrato, e lenzuola di burro per scivolarsi addosso, senza peso sospesi nel tempo.
Passare la notte avvolta nel tuo abbraccio, braccia a circondarmi e tenermi stretta per respirarti. Respirare il tuo odore per tutta la notte e conservarlo fino al mattino.
Sorrisi che commuovono e colmano il corpo intero, in doni lontani di serenità pura, montagne salde che offrivan riparo. Il tuo, desiderio di abbraccio ricevuto in dono, solidità di monte che avvolge e rallenta i pensieri, dolcezza d'ombra di pietra forte.
Sfruttare la notte per cacciare il giorno, potermi adagiare su te a chiudere gli occhi, respirando lenta.
Maledire il mattino che allontana e porta via.

Bambino tenuto in groppa, spalle larghe che sanno accogliere, spalle forti che sanno dare sostegno. Mani grandi che ne stringono altre, mani piccole e ancora incerte, abbozzate nelle forme e nei gesti, morbide nel muoversi e nel disegnarsi.
Occhi limpidi e un sorriso chiaro sul volto di un ragazzo forse uomo che mi commuove senza motivo, solo per quella sospensione senza peso che brilla di vita.
E poi un altro bambino, poco più grande ma quel tanto appena da poter camminare da solo, passi come sonagli che ridono incespicando. E le fiamme calde attraggono troppo, per piani fatti di finta sete, una bottiglietta d'acqua tra le mani perchè le candele non brucino più.

E ti parlo di me, ti racconto quel che succede, delle persone che ho intorno, di quelle che conosci e di chi ho incontrato da poco. E le tue parole sono il vento che le nuvole stanno conservando per il grigio futuro, quelle carezze di mani fredde che le guance ricevono come fossero schiaffi.
E io uso troppe parole, cerco di chiarire dove non c'è bisogno, e mi dici che forse qualcosa non va.
Tentativi di coprire silenzi.

Note di amici e parole in silenzio tra colori e luci di una città in festa. Viole cantate e rose appassite, parole che suonano amare mentre il mondo intorno si ovatta e scompare, i pensieri pulsano in ricordi mai nati.

La tua città sparisce, e con lei il fiume di auto di un traffico troppo pesante che non rispetta il bianco barocco che mangia il sole che cala. Tutto scompare mentre intessi parole per scrivere i miei sorrisi.

Luoghi dalla freddezza industriale, pavimenti rotti, fatti di solo cemento. Fa freddo fuori e dentro, fino alle ossa che sono talmente ghiacciate da rischiare di spezzarsi di colpo.
Inverno denso e quella pianola a fiato che suona, mentre io abbasso gli occhi tristi a terra senza accorgermi che mi stai guardando.
Torna indietro, torna tempo che non è più, torniamo noi sospesi e si sente l'inverno che romba mentre fuori suona il mare.
Penso a quella lanterna che non è mai volata e vorrei che la facessi volare per noi. Una sera vai sulla spiaggia, vai solo, e incendia il cotone dentro alla carta chiara, falla salire in una notte d'inverno, regala la luna a quei bambini che credevano di poterci arrivare in un soffio.

Sono musicisti, artisti di strada, mimi e mangiafuochi. E poi ci sono maschere vestite di broccato, che ti guardano gli occhi per leggerti il cuore. E tu non ci hai mai creduto, e per dimostrarmi che in loro non c'era nulla di vero mi hai dipinta come sabbia fusa che cola da una clessidra bruciante di un fuoco rovente.

Campanelli d'argento per svegliarsi e vendere fuoco, donarlo nelle scintille che salgono leggere, incoerenti e senz'ordine alcuno, vive.

Grumi dolci in fondo a sè, pulsanti.

martedì 26 agosto 2008

macerie fertili

Scoprire di essere ricambiato dovrebbe davvero disilludere l'amante sul conto della creatura amata. "Come? Sarebbe dunque essa tanto modesta da amare perfino te? O tanto stupida? Oppure - oppure -".



Omaggi in musica ascoltando voci lontane, voci vicine che solcano il tempo per volarti a fianco.
Giorni che passano per ritrovarsi in buonGiorni sempre nuovi, limpidamente chiari, in cui sentirsi, scoprirsi e riscoprirsi ogni volta da capo, mai interamente noti, mai scontati, sempre noi, ogni volta nuovamente noi, nuovi noi.
Soffiar via abitudini e polvere per rinascere ad altra vita, ogni giorno rinascere senza rinnegare ciò che è stato, ciò che è passato.
Presenti, Passati, Futuri. Tempi inestricabili vincolati tra loro in nodi stretti.
Good Morning.

Temporali violenti scuotono la terra, lambiscono ogni cosa e tutto si ritrova sbalzato via, vorticante in aria, in equilibrio dinamico come vita.
Vortici senza ordine nè logica per scordarsi di essere statici, per scordare i propri limiti e tenere gli occhi aperti.
Macerie per rinascere ad altra vita.

Misticanza sonica, ed è succo acerbo di densi silenzi che tornano alla vita.
Mi sogni alle finestre della mia casa, vicinanza fatta di braccia a toccarsi, nessun altro contatto.
Crollano le case, la città viene giù, e noi a guardar fuori farsi cenere e macerie. Crollano le case e cadono i fili su cui ci tendiamo a camminare in equilibrio fasullo, profeti folli dalle parole inutili.
Cadono i fili e ora è la terra ad accogliere i passi, macerie fertili su cui rinascere.
Silenzio vivo. Silenzio per respirarci.

Era quiete immobile la mia, stasi di quella vita che deve essere immobile per gettarsi nel vuoto e librare nell'aria. Gettarsi a capofitto nel Mondo.
I temporali svegliano di colpo, le palpebre sbattono ad ogni tuono e i lampi schiariscono irregolari i pensieri, decisioni già da sempre lì ma nascoste alla vista.

Non è irrequietezza sotto pelle, non è fuga.
E anche se col primo freddo sarò di nuovo in viaggio, prenderò il volo sfruttando le correnti che come scie seguono il temporale e viaggiano veloci, sospese in alto giusto sotto la volta del cielo, in realtà non sto partendo.
Grumi dolci a fondo petto, scuri come terra bruna, dicono di restare, chiedono cura, negati dallo spazio e dal tempo che ghignano come sorriso di fredda luna.
Tenuti stretti, portati dentro come linfa che scorre nelle vene e si spande e mi scalda, sono il mio antidoto al gelo dell'inverno imminente, manterranno sciolti i miei pensieri e fluido il mio sangue.
Grumi dolci per mettersi a nudo e sentirsi vivi.

Non vi dovete accontentare di me.
Scordarsi di credere ai vecchi difetti per varcare limiti e solcare il tempo.
Non voglio qualcosa di meno e la cura ha bisogno di nutrimento.
Non voglio accontentarmi di me, non voglio che siate voi a farlo. Volarvi a fianco, ma per farlo devo conoscere le correnti.
Ci affido al vento per ritrovarci in aria, sospesi in alto, senza peso.
Il temporale passa, le macerie e la cenere sono fertili. Rinascere a nuova vita.

Un campanello al polso, argento leggero trafitto da un ago, che voglio guardarti senza fare rumore, arrivarti alle spalle e toccarti leggera.
Senza parole mi sentirai per contatto.

[F. Nietzsche, MartaSuiTubi]

venerdì 22 agosto 2008

desideri distorti

confine instabile tra bene e male

senza dolcezza
inchiodarsi al muro
sogno distorto
in colpi fondi

giocare al massacro con delle idee
per violentarsi con lame da quattro dita

giorno per giorno lasciarsi andare
e volere ancora che il gioco continui...

giovedì 21 agosto 2008

fiori di polvere

dalla polvere ho imparato a non chiedere nulla
un fiore di stoffa raccolto da terra
fiore di polvere

polvere sulla pelle e nei vestiti, nelle nostre parole
polvere a ricoprirci e togliere l'aria
gocce di pioggia a impastarsi e diventare fango
parole lacere che non sanno nulla di sé

il cuore
si spezza
d'improvviso


quasi senza motivo

mercoledì 20 agosto 2008

Finist Belfalco

-Babbo! Dalla nostra sorellina, di notte, c'è sempre qualcuno che parla con lei. Anche adesso!
Il padre si alzò e andò dalla figlia minore, entrò nella sua stanza, ma il principe già da un pezzo si era trasformato in penna ed era nella sua scatoletta.
-Ah, voi, linguacce, - si rivolse il padre alle altre figlie. -Invece di lanciare accuse infondate fareste meglio a badare a voi stesse!
Le sorelle maggiori vegliarono e vegliarono finchè una notte videro il falco entrare dalle finestra della loro sorella. Decisero di ricorrere ad un'astuzia.
Non appena fu buio con una scala salirono alla finestra della sorella e, tutto intorno, vi conficcarono coltelli affilati ed aghi acuminati.
La notte arrivò Finist Belfalco e per quanto si dibattesse non riuscì di entrare nella stanza. Si ferì il petto, si tarpò le ali. Ma la ragazza dormiva e non potè sentire.
- Addio fanciulla! - disse egli. - Se vorrai trovarmi, dovrai cercare oltre i monti e al di là del mare. E mi troverai solo quando avrai consumato tre paia di zoccoli di ferro e tre bastoni di ghisa ed avrai rosicchiato tre pani di pietra!
La fanciulla nel sonno sentì queste parole spiacevoli, ma non potè svegliarsi nè levarsi e continuò a dormire.

I miei gomitoli si srotolano dalla parte sbagliata. Tento un lancio, un passo, e il filo s'ingarbuglia, s'intriga tra i rami. Non c'è strega a cui chiedere, nessuna prova da superare, nessun ostacolo da ridurre in briciole.
Se pianti aghi e coltelli le ferite saranno la moneta di scambio. E allora di che ti stupisci?
Come Finist, l'unica cosa che resta da fare è aprire le ali, prendere slancio, volare lontano.
Resta pure coi tuoi coltelli. Sai che non li riporrai nemmeno per te.
Ferire e ferirsi, per quel che si è. Non per un gesto, nè una parola, ma tenere lontani per la propria essenza.
Che c'è qualcosa di profondamente sbagliato, ma quando siamo troppo vicini si smette di riuscire a vedere.
E allora non riesco a guardarmi, estranea e lontana.
Sento i coltelli ma non ricordo più dove li ho conficcati. E come sempre riuscirò a ferirmi e ferire chi si avvicina.
Come Finist, le ali lacerate faranno gettarsi in volo. Ma i miei coltelli sono penetrati fondi a terra, e dritti dentro al suolo mi terranno conficcata in esso.
Mi strazio le labbra per ridurle al silenzio, dalle loro gocce di sangue nessuna parola, che chi mi è caro non debba subire le mie paure.
Corpo inutile che non sa parlare, che diventa un peso da portare con sè, pesante e grave. Viso irregolare e composto male, che non sono gli specchi a saperlo riflettere. E ora resta scomposto e rotto, senza occhi da guardare che sappiano rimetterlo a posto, che lo schiariscano con lentezza, dolcemente attenti.
Sono conchiglie rosa quelle che tieni in mano, raccolte dal mare. Sono ancora cariche dei suoi umori e dei suoi sapori, sanno ancora far suonare leggero il vento che sa di sale.
Le tue parole come conchiglie ancora bagnate di mare, tra le mani per accarezzarmi il corpo.
Ma sono schegge, cocci e frammenti, e all'acqua che leviga restano fratture scomposte e tagli acuti a stridere e graffiarmi scivolandomi addosso, scivolandomi dentro, inerti senza sapere.
E cerco di non pensare e guardare il mare, a cercare il rosa madreperlaceo che riflette il cielo, ceruleo cupo che s'immerge nell'indaco.
Non penso e lascio che le onde mi bagnino, riescano a sommergermi, possano portarmi via. La sabbia non offre sostegno e ad ogni risacca posso solo sprofondare un poco in più, trattenere il respiro e sentire il sale che brucia forte.
Ci credi? Tu ci credi ancora?
Non riesco ad opporre resistenza all'acqua e ogni volta mi lascio sommergere.
Forse anch'io una conchiglia rotta in balia di scogli e sale, acqua che lava e porta lontano, porta via senza lasciarsi in ricordo.
Io e i miei coltelli, i miei coltelli che fanno male e portano lontani.
Finist Belfalco vola via senza parole e io non ho gomitolo per ritrovarlo, nessuna strega mi indicherà la strada.
Io sono i miei cocci di vetro. Io sono i miei no. Io sono i no che pronuncio e che mi vengono detti.
Stretti tra le dita per gocce di sangue, conficcati in gola per imporsi silenzio.
E lacrime strane sciolgono il tempo per un presente che non ha fine, fatto di no che uccidono lenti, no per sentirsi negati.
Sogni che non vengono e un sonno che giunge senza avviso, sotto un cielo troppo chiaro fatto di luna bianca e sgombro di nuvole. Addormentarsi piangendo e svegliarsi sotto la pioggia che viene.
Cocci di vetro per farmi male e farmi far male, senza riuscire a vederli, senza riuscire a sottrarmene.
Forse m'incanto troppo a vedere il sole che filtra e cangia, prisma fatto di bordi taglienti che spande la luce in colori vivi.
Ferma, senza capire nè riuscire ad andarmene, inseguo la luce bramandola per sentirmi viva.
Ma Finist Belfalco vola via, e io ho lacerato troppo le ali per potermi alzare in aria. Lame di luce filtrano tra i tagli e s'infrangono sulle gocce d'acqua che lascio cadere per terra.
Persone amate. Per ricordarsi che non si è solo vetro in frantumi, che talvolta i cocci di vetro sono piantati profondamente anche negli altri, e non sei tu a ferire ma sono i cocci conficcati sotto pelle a far sanguinare e piangere, anche se non riesci a vederli.
Persone amate per riuscire a guardare i propri cocci di vetro.
Persone amate nella piena luce del giorno.
[Finist Belfalco, fiabe russe]

venerdì 15 agosto 2008

temporale opaco

Veli sospesi, uno sull'altro, a scivolare in contatto minimo, fruscio d'aria a cambiare il cielo.
Pioggia per ferragosto, a scrosci, grani in caduta sopra i grappoli bianchi dello stefanotis, arrampicato sui fili, avvinghiato immobile.
Asfalto come fiume in piena, odore tiepido che entra dalle finestre aperte, umido.
Pioggia e note a suonare, reazioni chimiche che esplodono sotto vetro. Piccole dosi, osservate dall'alto, galassie esplose in espansioni controllate, tracciate in sensi d'attesa.
Luce gialla sul filo dei tetti, a mischiarsi col grigio colmo di pioggia.

Acqua che cade e temporale compresso dentro, a picchiare contro la pelle, tessuti e fibre che assorbono i colpi, senza cura, senza limiti.
Corpo liquido.
Torture acide che lasciano a respiri rotti, occhi chiusi.
E non so prendermi cura di me, mani inutili che non sanno fare, non vogliono imparare.

Immagine sfocata che non crede a se stessa
come puoi darti se non ti appartieni?

Persone lontane che non so toccare, non riesco a raggiungere.
E i lampi non cicatrizzano, sanno solo rompere l'aria, ferire ancora.
Troppo lontani, troppo lontana io per un abbraccio, che le parole non bastano.
Dolcezza a fondersi nel temporale in arrivo, gocce d'acqua che cadono e si schiantano a terra.

lunedì 11 agosto 2008

le fate danzano, ma non concedono invito

Niente stelle per S. Lorenzo. Mi avrebbero resa triste.
Non avremmo trovato cielo pulito, senza inquinamento di luci, sarebbe stato un nero sporco, le stelle a lottare coi nostri rumori.
La luna sta crescendo, tra pochi giorni sarà piena.
Anche lei copre le stelle, e per una volta spero siano nuvole.

Vorrei luna nuova, luna nuova per far respirare il cielo, che la luna piena è sempre implacabile su di me, non mi concede tregua.
Le fate sogghignano perfide danzando intorno al biancospino mentre i faggi ospitano le streghe in raduno, e io, in pieno maleficio, rispondo alle loro nenie e ai loro inganni, entrando nel cerchio per intrecciare i miei passi ai loro.
Solo invitati si può venire, e io resto così a guardarmi da fuori, chiudendomi a doppia mandata perchè neanch'io riesca a varcar la mia soglia.

Nessun desiderio, che tanto le stelle già li conoscono, glieli canto ogni notte tornando a casa perchè poi vengano soffiati dentro al mio sonno e nei miei respiri continuino a vivere, fiammelle leggere che chiedono aria.
Mi sveglio con un sorriso appoggiato sul corpo, occhi che sanno di carezza chiara, mani che ancora indugiano lente, ricolme di cura.

La notte inizia a disfarsi, brandelli che restano e lasciano tracce nel giorno fatto, pulsando asincroni per non farsi scordare.
Il giorno segue, il mondo pure.
Io continuo a vivere di quei tocchi, che mi si sono attaccati addosso, che continuano a battere lenti, senza tempo, che mi legano stretta con nodi d'etere.

giovedì 7 agosto 2008

notte di pioggia

notte di pioggia forte, cielo in rivolta, odori acuti impregnati di buio.
al chiuso, restare immobili a guardare fuori per lasciarsi trascinare dalle gocce d'acqua, gettare fuori i pensieri per farli finire scroscianti a terra, rumori indistinti a fluire via.
gocce di pioggia a frenare la luce, schegge sospese in aria a rompere il buio.
in sottofondo tintinnio metallico, scosso dal vento.

le ginocchia raccolte al petto, lo sguardo perso, i pensieri anche.
senso di scacco, impotenza.
non poter far nulla per raggiungere ciò che cerchi, che il mondo s'intromette beffardo come a prendersi gioco di noi, inventando sempre nuovi trucchi per farci affidare al vento e poi perdere quota, schiantarci di colpo.
e incassi, e cerchi di convincerti che prima o poi ce la farai a prendere il volo e nelle correnti d'aria ci sarà equilibrio fatto di evoluzioni, planate e slanci, acrobazie che s'intrecciano ridendo, energia pura che si snoda e vibra vorticando su se stessa, gioendo di sè.
e vai avanti, giorno per giorno, un respiro fondo a salutare il sole per ricordarsi di tenere gli occhi aperti, a farsi riempire e lacrimare d'aria.
ma in fondo a tutto una mancanza acuta, a ricordare...

nostalgia e desiderio, legati stretti.
cercarsi comunque, che non puoi farne a meno.

mercoledì 6 agosto 2008

per terra, desiderando il cielo

Il blu violaceo sfuma. Memento. E smonto il passato un pezzo per volta.

Occhi bassi che chiedono di tornare bambini, per non dovere più essere cinici, per riuscire a incantarsi di nuovo.
Ma non è troppo distante, e intrecciamo fili e voci in discorsi antichi per tagli nuovi, a cercare sorrisi sul viso mentre giochiamo sull'erba.

Il blu violaceo sfuma mentre smonto il passato, un pezzo dopo l'altro.

Ma ne ho bisogno per andare avanti.
Ho bisogno di salutare la me bambina e il suo letto giallo, che ancora sono convinta sia stato dipinto mentre dormivo, in un pomeriggio come uno di questi, con le finestre aperte e la luce a entrare con forza.
E ora seduta sul legno, quasi accucciata, svito i perni, lo distruggo e le assi cadono a terra, spazio vuoto dove c'era il passato, solo aria a restare sospesa, silenzio.

E i passati vengono sempre a fare visita tutti in una volta, così da non capire più in quale delle tue tante vite sei.
Incrocio sguardi, sorrisi, intreccio abbracci. Altri li posso solo fuggire, stilettate in petto, profonde, che ancora sanno far male. Ritorno, e mi sento sbalzata fuori di me, nei miei mille passati, senza capire più chi sono, dove mi trovo, chi ho intorno a me. Mi fanno visita senza aver ricevuto invito, ed è strano sentire il mio nome su labbra che pensavo l'avessero scordato da un pezzo, voci ancora note, altre che non riesco a sopportare, fuggendole per non doverne sentire il timbro, per non dover rispondere.

Il Giardino vibra, onde elettroniche, voci amplificate, dijeereedoo, fari puntati sugli alberi in colori di plastica, mattoni antichi che accolgono luci e storie.
Sdraiata per terra, una collinetta che ospita un albero, toni blu, alcune foglie macchiate di porpora. La terra sotto e le mani afferrano l'erba cresciuta sul secco. Una voce continua a narrare, lenta, parla, racconta storie, s'intreccia ai suoni e alle luci.
Fuggo nel buio, nel cielo, non voglio pensare a tutti i miei passati.
Sento la terra e mi rifugio nel cielo.

Desiderare. De-Siderare. Aver nostalgia delle stelle.