martedì 26 maggio 2009

senza rumore

L'inchiostro sta per finire, la pagina anche, e avrei preferito l'incertezza di linee appena intraviste per guardarmi stanotte. Invece devo cercare spazio tra questi segni ingombranti, troppo pesanti.

Mi spoglio davanti allo specchio che punta la porta, il letto appena di sbieco compare solo a prestarci attenzione, intenzione.
Certe cose vanno cercate.
E altre volte le luci vanno spente per non vedere.

Mi punto le luci addosso, impietose, e da sola mi fascio di luce troppo forte, diretta, a sbiancare la pelle.
No, non sono io quella.
E' sempre così.
La mia immagine, quella che sono convinta di mostrare al mondo, non è quella che la parete lucida mi rimanda dal fondo della stanza.
No, non sono così. Non sono così.

Lenti gli occhi, le mani a tentare di modellare e piegare, come potessi essere un pezzo di creta facile da plasmare con una pressione del palmo.

Resto accucciata sul letto per un po', accesa è rimasta solo la lampada di sale sul tavolino basso di legno.
Intorno ho solo aria, e la mia pelle non si riesce a scaldare.
Senza altri contatti mi sembra di esistere un po' meno.

Da piccola ho deciso di imparare a camminare senza fare rumore...

venerdì 22 maggio 2009

amaro in gola

Non voglio affrontare i pensieri, che ora arrivano col tono stridulo di un uccello che canta di notte. Ma in fondo hanno diritto di esistenza anche loro, per quanto privi della leggereza che persino questo stridore si porta dietro in voli d'aria.

Inizia a tornare la voglia di fuggire, di lasciare di nuovo l'ennesimo luogo, prima ancora che possa essere chiamato casa.
La città non mi appartiene fino in fondo, non è il mio tempo da plasmare con gli zuccherini appoggiati sugli occhi.
Tempo squallido e triste come un orso di stoffa con l'imbottitura riversata, appeso di sbieco a un palo come benvenuto.

Vorrei un albero a cui appoggiare la schiena, mentre il respiro cambia e si allenta cercando un tempo comune.
Dalla mia bocca escono foglie, verde nuovo che sui polpastrelli sa di bagnato, carezza morbida.

la mia voce sa di malinconia

lunedì 18 maggio 2009

ritagli di sonno su un fondo carta zucchero

Mi sveglio troppo spesso con gli incubi addosso, il corpo bloccato in posizioni innaturali, scolpito di sabbia in altre vite, sempre mie.
Circondata da ombre che vorrei riuscire a consegnare al passato mentre continuano a farmi visita, sbattendomi in faccia la mia incapacità di vedere.
Scelgo scenari squallidi, per lo più decadenti, marci. Mi faccio dire da altri quello che non voglio dirmi da sola, scelgo parole per ferirmi al di là di ogni possibile ritorno.

Le paure si squamano lungo stradine di paese
tra cemento e intonaci seccati dal sole
senza più toni, che l'arido li ha prosciugati.
Una porta di legno verde scuro
anche quella squamata come strade e paure,
e un gradino di pietra rialzata.
E' un passo da folletto, con gli occhi intensi e i capelli scuri
beffardo, come sempre.
Ma stavolta i miei incubi provano gusto
ricordando come si sia disintegrato
in un ghigno che non lascia concessione alcuna.
Tu, usi troppa forza... più di quanta ne serva
anche se rincari la dose mi hai già uccisa all'inizio.

Mi sveglio al mattino, un po' già chiaro, rumoroso di pigolii incessanti che giocano con la luce. Carta sfilacciata ai bordi dalle dita, spicchio arancione incollato su un fondo azzurro carta zucchero. Uno sguardo colmo di sonno ritaglia una luna di carta e dietro ci accende una candela.
Un ultimo sguardo ancora sfocato, cielo silenzioso e tetti umidi. Saluto il mattino e richiudo gli occhi.