I miei sogni stanno disimparando a essere inclementi.
Non mi lasciano col sorriso al risveglio e ancora mi inseguono a passo serrato tra vicoli in ombra. Ma non fanno più male, o non così tanto. L'ombra è del sole che manca.
L'aria è velata, ma le lenzuola stese tra i balconi di un passage per un attimo bevono azzurro e fanno scomparire il cielo. Stanotte me lo restituiranno, che il sole le ha cotte e il vento ha giocato con gli sbuffi di cotone come stesse ridendo di una girandola che non finisce più di girare.
Stanotte vorrei sogni dall'odore di vento.
Giusto un sorriso a dire siete i benvenuti, per voi non ho occhi tristi.
Aprire il cassetto di legno pesante, raccogliere in mano le fruste e riporle con cura, adagiate a morire nel buio del legno. E con loro metter via parole tristi ricamate su foglietti di carta, dispersi in giro come foglie secche. Grandi meno di un palmo, potrei seguirne le linee stropicciate per piegarli in origami.
C'è ancora un grumo di polvere a sporcare l'aria; giù, quasi sotto lo sterno, al suo limite. Ma alla fine l'aria entra, e io so farle spazio.
Voglia di gettarmi su un prato ad annusare l'erba, sentire tra le dita l'umido e il bagnato, la rugosità di grana delle foglie, la carnosità fragile dei fiori che sviene col calore di un tocco.
Notte e stelle, per passeggiare nel buio e fermarmi ad ogni siepe di gelsomino, e coglierne uno e infilarlo tra i capelli. E uno, e uno... E uno ancora da tenere in mano.
Ti ho salutato, luna, quando sei stata piena. Sono venuta a trovarti, camminando per le strade di casa, che da qui i tuoi raggi non mi possono toccare.
Non posso mancare, lo sai, e sia pure per un attimo ti guardo il viso. Quando non riesco a venire da te mi sembra di stare tradendo un amante.
Le lenzuola stese col loro odore di vento, i gelsomini e le bouganville, la notte e le ombre cinesi che mimano nella mia stanza luminarie in festa appese a pergole ricoperte di foglie.
Bisogno di lasciarsi commuovere dalle cose...
e tutto resta compresso, lì senza potersi dire.
Ossimoro acido come i silenzi che frastagliano i miei colori. Miei perchè me ne sono impossessata, li ho collezionati uno per uno.
Ma scordo le parole da raccontare, che senza più modo di intesserle dimentico che una volta c'era una storia.
Mi ci distenderei in mezzo, a guardare il cielo tra i coni d'ombra delle dita a schermare il sole.
Un campo di margherite per rotolarmici aggrappata a un paio d'occhi, e l'erba morbida e i fiori a solleticare la pelle come una carezza sui capelli, la stessa delicatezza e cura.
Alla forza ci penso io, tu non ti preoccupare prato. Almeno gli occhi spero sapranno ricordarla, come il respiro.
Sai che puoi fare, sogno, per concludere l'opera?
Fai in modo che esca da te senza rimpianti, fammi entrare nel mattino con un respiro leggero. Lasciami una sensazione d'abbraccio anche quando mi sarò svegliata.
E' triste entrare nel giorno da soli...