venerdì 25 aprile 2008

rumore di eliche

Nell'aria il suono di un aeroplano, di quelli piccoli, da turismo, da domenica in cui tutta la città è un po' più silenziosa.
Pensieri inconcreti, non so nemmeno io cosa non va.. Inquietudine di fondo, un po' di tristezza, malinconia forse..
La bocca impastata, le parole non riescono ad uscire. Ma in fondo non ho pensieri, per cui non ho neanche parole da dire.
Ecco, ora forse avrei voglia di una persona cara che non c'è. Stare in silenzio, nulla più che un abbraccio e carezze lievi. Dolcezza a cullare i pensieri e me e in cui lasciarmi andare, occhi chiusi e difese nulle.
Assenza triste in cui sentirmi un poco sola...

giovedì 24 aprile 2008

voci, voci, voci...

Voci che penetrano, voci che galleggiano in superficie, voci artificiose, voci sentite, voci che sognano per te quel che non osano pensare per sè e te lo regalano come rosa preziosa mentre intorno sono solo macerie.
Risuonano dentro di me, dentro un vuoto che sono riuscita a creare nel tempo, allontanando una cosa dopo l'altra, quasi senza rendermene conto. Far largo, lasciar andar via, fino a scoprire che non è rimasto nulla, solo uno spazio opaco velato di polvere. In piedi, mi giro e mi guardo intorno. Silenzio.
Voci come eco in questi spazi cavi, risuonano e rimbalzano, talvolta s'incontrano anche, assonanze strane ma per fortuna solo cosa di un momento.
Voci che fanno spuntare un sorriso, voci che troppo studiate ti lasciano impassibile, inerte, voci che fanno piangere, voci che ti leggono dentro e con pochi segni, appena accennati, ti dipingono l'anima.
Fili che non si rompono, legami che resistono al mondo, anche a quello più nero che cerca di sommergerti col suo marcio fino a convincerti che non esiste altra vita possibile.
Un canto leggero, un pensiero sognato per me, a dispetto di tutto.
Lacrime. Perchè so che quel mondo pulito e libero è sperato solo per me, e chi lo sta augurando ha deciso che per sè non può concederselo. Ma per me è sperata magia, una corazza abbastanza forte da resistere agli inquinanti, un mondo che per quanto strano possa ancora cullare di poesia...
Nonostante un vuoto che per ora non vuole andarsene, ogni voce mi culla e respira lenta in me.

martedì 22 aprile 2008

frammenti improvvisati

Esseri rotti, smembrati, frazionati. Allontanati da Dio e dal Mondo, convinti di poter tornare a sè, di poter trovare rifugio in sè. Ma senza rendersi conto che già ci eravamo persi lungo la strada.
Prima ci si è atomizzati, si ha perso quel posto in un kosmos che nel suo ordine dava un luogo in cui stare, in cui tornare, in cui essere presso di sè come a casa. Vi abbiamo rinunciato per una mera causalità senza fine, solo immanenza, nessun télos. E così abbiamo iniziato il nostro distacco disincantato.
Mondo freddo, inerte, non più energia a farlo respirare, macchina, ingranaggio che tende al movimento perpetuo senza un perchè. Noi come ruote dentate, in mezzo a noi le convenzioni come cinghie che trasportano il movimento. Non c'è più nemmeno contaminazione.
Ci si è abituati ad esistere smembrati e separati, a vivere a compartimenti stagni, ingranaggi per la società, persone complesse, plurali, con un nucleo a pulsare, nelle parentesi d'intimità. Ma quest'abitudine a viversi spezzati ha fatto sì che non ci fosse più nemmeno un sè a cui tornare.
Atomizzati nel mondo e in noi stessi, una testa separata da un corpo, noi pure teste d'angelo o pure frazioni di corpo. Ma cosa sia essere integralmente sè, lo si è dimenticato.
Siamo frammenti, difficilmente ricomponibili. Ci osserviamo dall'esterno perchè abbiamo perso quell'unità che consentiva lo sguardo pieno, abbracciarci interamente con un colpo d'occhi.
Noi scissi ci osserviamo vivere in una pluralità di sè che non è più in grado di far parlare le sue diverse componenti, personalità multiple, mute e racchiuse in un unico corpo.

Cosa resta?
Restano le storie.
Restiamo noi come storia raccontata che ci torna nelle parole dell'altro.

venerdì 18 aprile 2008

the caldo e profumo di menta

Commedianti.
Certe giornate non sono altro che piéces teatrali che nascono e vivono per essere raccontate, attori per spettatori immaginari, passanti inconsapevoli di quel viene recitato per loro.
E allora, per chi non ha potuto assistere,
per chi c'era ma non se n'è reso conto, nascono le storie.


Zone ricche, cancelli pesanti e fiori e alberi che spuntano dall'alto ritti nel cielo, betulle dal tronco bianco e le foglie chiare, glicini che stanno iniziando ad assumere toni di viola, ancora così tenui, appena intuiti, foglie nuove che morbide non si sono ancora dispiegate ma lanuginose e carnose si appoggiano una sull'altra, verde nuovo che sa di sole.
Poi però tornano il grigio e giornate di freddo intenso, come fosse ricomparso l'inverno a esigere una presenza non scontata. In giorni così si accusa il vento freddo ancor di più, e la testa protesta, soffrendo un poco per quest'improvvisa rinuncia alla primavera.

Così, resistendo solo per puro senso del dovere, restare in facoltà fino alle otto di sera. Uscire, e trovare il cielo ancora chiaro, vento gelido mentre attraverso la Senna, verso la metropolitana, e cielo di colpo diventato cupo che fa contrasto con gli alberi che lungo il fiume hanno iniziato a vibrare tra gialli e verdi, nuvole intense che seguono nel movimento l'acqua che scorre.
Casa, finalmente, calda e a suo modo accogliente, riempita di quelle immagini che ormai porto con me ogni volta che cambio spazi, sorta di filo che permette di mantenere legami, di sentire con me il passato che è stato finora. Stanchezza e voglia di riposo, giornata già quasi finita senza essermi resa conto di come.
Porta della cucina che separa metà della casa chiusa, strano... Tento di spingerla: inutile. Resto un momento di sasso, pensando alla finestra rotta nella stanza di là e al vento forte che ha soffiato per tutto il giorno e avrà fatto sbattere tutte le porte di casa. E nello stesso tempo mi rendo conto che quella porta non ha maniglia, mentre le tiro una spallata contro sperando fosse solo adesa. Chiusa, decisamente chiusa, e sono già le nove passate e inizia ad essere tardi per fare qualunque cosa.
Partono telefonate che mi fanno solo fomentare nell'odio per i francesi quando mi sento dire "mi dispiace, ma io non ci posso far nulla. No no, è inutile che mi stia a richiamare, tanto non so che farci". Mentre impreco mi butto sulle scale, l'altra palazzina, busso sulle porte, cerco vicini... Ma o non c'è nessuno o sono tutti sprovvisti di qualunque attrezzo per lavori domestici, giusto un paio di miseri cacciaviti e di chiavi totalmente inutili. Partono così i tentativi di scasso, mentre scopro che se la laurea va male non posso neanche riciclarmi nella delinquenza, totalmente negata! Tentativi di forzare la chiusura e farla scattare con fogli e tessere di plastica, la mia arci subisce un triste destino e le chiavi rischiano solo di devastare definitivamente l'imboccatura della maniglia o rimanere incastrate.
Bene, lascio lì e scendo a cercare ancora qualcuno per aiutarmi, inutilmente, e allora schizzo fuori, alla ricerca di un qualche negozio che ancora aperto possa offrirmi utensili vari. Incredibile, ma pure il cinese ha già chiuso, c'è solo un supermercato che purtroppo ha un miserissimo reparto di ferramenta. Compro qualcosa, almeno per tentare, e di nuovo corro fuori, mentre l'aria fredda inizia a bagnarsi.
Va beh, a questo punto cerco cibo visto che sono già le dieci e in cucina non posso andare. Salto i vari kebab per finire davanti ad un'insegna gialla, falafel. Mi fermo, guardo dentro: deserto, solo alcuni uomini che guardano in alto una televisione. Spingo la porta ed entro.
-Bonne soir... Un falafel, s'il vous plait, à emporter.
Il mio francese e quello del signore arabo che gestisce il locale sono parimenti pessimi, mentre io sono l'unica cliente, già tutti i fuochi spenti, prepara solo per me.
-Ci vorranno cinque minuti, -mi dice- sedetevi, vi prego.
Io resto in piedi, mi guardo intorno, e finalmente ferma rallentano anche i pensieri, prendendo un moto di onde calme. Tovaglie a quadri bianchi e rossi, sedie turchese in cui lo smalto inizia a saltar via, rivelando l'ossatura di ferro che qua e là mostra tracce di rosso ossido. In un angolo un vaso di ceramica, dipinto di colori accesi, steli di menta a spuntare dalla sua bocca e il capo chino nella linfa persa nel giorno. Dita grosse, ruvide ne strappano qualche foglia, lasciata cadere in un bicchiere di vetro che già sul fondo ha polvere nera e zollette di zucchero bianco. L'acqua calda libera l'odore della menta, subito dolce, un'offerta per me mentre mi siedo, ospite improvvisa e improvvisata in una serata di pioggia.
Guardo fuori, le gocce d'acqua attraverso le luci di macchine e lampioni, le poche persone a camminare veloci, vicine per bagnarsi meno e parlar fitto.
Le mani assorbono il tepore del vetro, il the dolce scende e scalda il corpo in questa serata dell'assurdo. Sorrido, di cuore, guardandomi attraverso il vetro in un mondo surreale.
Un saluto cortese e occhi gentili, vado via correndo mentre mi stringo addosso la maglia aperta e la sciarpa leggera, la pioggia mi bagna appena. Casa.
Continuo a protestare, imprecare, ma perchè quella è la parte e io per voi sono diventata personaggio.
Ma in fondo sorrido, felice di quell'angolo di mondo.


[Giusto per dare conclusione agli eventi, nonostante nessun cavaliere lancia in resta abbia risposto al grido di aiuto di una fanciulla che languiva in prigionia -e qui ci si rende conto delle mie mancanze in fatto di lavori pratici e di quanto possa essere problematico non avere a portata mani maschili- un valente riparatore tutto fare è infine riuscito a scassinare la porta risolvendo ogni dramma!]

martedì 15 aprile 2008

i tuoi occhi mi incidono come solco su pietra

..stupidi mea culpa a posteriori..

Inutile. Cresciamo, diventiamo persone mature, proprio sulla pelle di chi ci è più caro. Su di loro commettiamo gli errori maggiori, a loro facciamo più male, noi in un divenire mai concluso.
Ma non può essere una scusante questa.

E continuiamo a fare loro del male, e solo nel vedere la sofferenza filtrare dai loro occhi ci rendiamo conto dei passi commessi sul vuoto credendoci invece sulla terra solida. Diamo vita a parole inadeguate filtrate da paure reali o immaginate, ragionamenti errati che ci ingabbiano mentre gli specchi che rivestono le pareti del labirinto si rimandano a vicenda in un gioco di luci oblique che falsa le cose.

E facciamo male, tanto.

Le persone che ci sono più vicine, quelle più care, quelle che più ci danno e più ci fanno crescere, diventano quelle che maggiormente subiscono i nostri malumori e pensieri in saliscendi in balia delle onde, i nostri screzi con il mondo, il nostro senso di scacco.

Ti guardo negli occhi, e solo ora riesco a vedere l'insensatezza dei miei gesti, solo ora che ti ho ferito. Non potrebbe esserci lezione più grande. Il tuo dolore, la tua tristezza s'incideranno come solco tracciato sulla pietra liscia. Ne soffierò via la polvere per lasciare un segno limpido, alveo asciutto che guarda il cielo.

il tuo dolore per mutare i miei gesti

Ma non mi basta, non mi va bene. Voglio smettere di crescere su di te. Voglio smettere di fare del male. Lotta continua con me stessa per cercare di crescere, assumere forza e energia, trovandole in me e nel mondo che mi circonda, assorbire luce e aria pura per smettere di crescere sulla tua pelle.

Per ogni mondo elevato occorre esservi allevati … l'andamento e il corso ardito, lieve e delicato dei suoi pensieri, l'intima disponibilità a grandi responsabilità, la nobiltà di uno sguardo imperioso, di uno sguardo dall'alto, la cortese protezione e difesa di ciò che è stato disconosciuto e calunniato, sia esso Dio o il diavolo, il piacere e l'esercizio della grande giustizia, l'arte del comando, la vastità del volere, la lentezza di uno sguardo che di rado ammira, di rado si affisa in alto, di rado ama.

[F. Nietzsche]

Sapere che quella è la direzione, lì è dove vorrei arrivare. E tuttavia ritrovarmi di nuovo in antiche paure, in sbagli che tornano nonostante le promesse fatte tra sè di non concedere loro spazio, come se non imparassi, come se quelle piccolezze e quei desideri di un ego insicuro che cerca conferme fossero più forti di ogni sapere e sentire.

Con gli occhi bassi e a mezza voce, che non ho il coraggio di un tono più alto sapendo che capiterà ancora, sussurro uno scusa per tutte le volte che sono cresciuta su di voi, sul vostro dolore.

lunedì 14 aprile 2008

sott'acqua

Parigi è sommersa nell'acqua, il cielo è un dome, cupola grigia da cui le cose non traspirano, costrette a bere la stessa aria che s'impregna dei pensieri come smog.
Foschia, quasi nebbia, la cupola del SacreCoeur che vibra, rivestita nella distanza da gocce d'aria bagnata. Tra le nubi bianche che la sua punta barocca tende come stoffa lacera non mi stupirei di vedere passare galleggiante un pesce che sospeso in cielo nuota fluido e lento sopra le case.

La notte passata erano nuvole basse, raso terra, appoggiate col loro peso alla città come carezza languida, ad affondare nel suo corpo immerso in un buio rotto d'arancio.
Veloci, basse, sconfinano sui tetti e si fanno carezzare dal faro della Tour Eiffel. Come il sole, quando taglia di sbieco l'aria al calare e disegna nitido il frastagliarsi delle nuvole nel cielo, linee spezzate che splendono d'incendi d'aria, ecco col buio nuvole biancastre e foschia aranciata, e la luce prepotente di Eiffel che trapassa l'aria e carezza dal basso le nuvole piene, ne rivela pieni e vuoti, consistenza e pesantezza, come mano a scivolare sulle anse del corpo.
Grana sfibrata, trama rotta del tessuto, lana cardata male che traspira luce nei suoi grumi. In quel contatto penetra in ogni rilievo e insenatura, mostrando il cielo negli interstizi d'aria. Poi è nuova fuga, non indugia oltre. Fino al prossimo giro, per ricordare e imparare di nuovo, ogni volta ancora.

Galleggio anch'io, sospesa nel tempo. Sommersa, trattengo il fiato senza riaprire la bocca per non inghiottire quest'aria che stagnante sa di acqua.

sabato 5 aprile 2008

giochi antichi

Vecchi giocattoli, fermi in attesa finchè la porta non si riapre. Un sussulto li smuove, un impercettibile sollevarsi del petto, mentre immediatamente recuperano contegno e immobilità, di nuovo inerti.

..e indipendentemente da quel che facciamo le energie che portiamo con noi si fanno sentire più dei gesti e sono quelle alla fine che si mischiano e prevalgono, danno la direzione al tutto..

Vecchio giocattolo, carica a molla.
Resti lì, fermo in attesa, ingranaggi bloccati. Ma io non so più se ho voglia di infonderti energia per farti camminare sino a me.
Ti guardo ancora, tu per sempre impassibile. E volto il capo per iniziare ad andare, passi calmi.
Chiudo la porta alle spalle, respiro di mondo.

martedì 1 aprile 2008

carta e inchiostro

La carta sembra appartenerti, tiepida al tatto, tepore vivo come un respiro.
Carta e inchiostro, le linee tracciate che mostrano il flusso dei pensieri, lì dove c'è stata una pausa, o dove invece un momento di estrema chiarezza e lucidità ha fatto srotolare e dispiegare i pensieri come acqua che scorre, da soli prendon vita. Altre volte invece è foga e fretta, linee acide e rotte, e alla grazia delle forme prevale l'urgenza dello scrivere. Poi è dolcezza e cura, e sono linee morbide, intersecate come fili leggeri, slanciati verso l'alto.
Carta e inchiostro, nulla di più precario. Bastano le dita appena umide, goccia di pioggia o di pianto a cadere perchè tutto venga sciolto e lavato via.
Ma, forse, proprio questo sapere che potrei di punto in bianco perdere tutto mi rende care quelle pagine per ogni momento che ancora sono con me. Sempre con me, se verranno perse resteranno comunque le foto ricordo, e spazio bianco da riempire nuovo...


"sentitamente",
immagini scritte e cancellate in un soffio,
lascio loro diritto d'esistenza.
Forse anche perchè le coincidenze mi piacciono sempre.
Dopo molto torno a scrivere, mi viene da pensare alla carta,
alla sua concretezza rispetto a pixel digitali.
E poi trovare, come sempre, parole così simili,
pensieri sorti che attraversano seppur lontani.

Sorrido