lunedì 29 ottobre 2007

terra fertile

Freddo e cielo bianco sporco, uniforme in ogni lembo, neanche una nuvola a dargli qualche variazione. Totalmente omogeneo.
La pioggia muta consistenza e forza ad ogni passo, imprevedibile, da nugolo di goccioline dissolte nell'aria a pungenti e fredde piccole lamine taglienti.

Vigile nonostante le quanto mai insufficienti ore di sonno rifiuto l'ombrello, resto al vento, all'aria e al freddo dell'acqua. Svegliarmi e godere del giorno, sentendo così caldo all'interno di me da desiderare il freddo pungente sul viso e sui capelli.

Mentre cammino sotto le gocce di pioggia, l'aria che mi esce dalla bocca si condensa all'istante in una nuvoletta che semino presto a passi svelti, ritmicamente sulle pietre lucide a specchio.

Mi porto le mani alla faccia, inspiro il mio odore, mi sento viva.

sous le beton la terre est fertile

Sotto il cemento, sotto i cumuli di macerie e artefatti umani, sotto tutto ciò che chiamiamo civiltà, progresso, agi, al di là delle giungle tossiche che invadono la città, queste piccole parole segnate in bianco sul cemento mi riportano a una terra bruna e umida, scura, accogliente.
Lì compressa e negata, esclusa dal contatto con acqua e aria, invisibile al cielo e al sole.
E tuttavia presente, in stato quiescente ma pronta a rivivere, rigogliosa, alla prima goccia d'acqua e sole che riuscirà ad avere.

Parigi messa oggi alla prova nel suo grigiore invernale, nella sua assenza di colori e di vita, rinchiusa dalla pioggia. Ma stranamente, nonostante il propagarsi dei toni di grigio, continua a piacermi. La Senna che scorre veloce, in onde che si rompono e si riprendono l'una nell'altra; le case che iniziano a perdersi nella foschia acquosa che dà a tutto un sapore d'inconsistenza; i boulevards alberati che mi restituiscono in mezzo al traffico il respiro della natura.

martedì 23 ottobre 2007

caramelle nascoste

Il freddo ha ormai preso definitivamente possesso del giorno, ma il sole ancora non rinuncia a scaldare con forza. Il respiro esce in nuvole calde che si dissolvono rapidamente, e per non inghiottire aria fredda mi sollevo la sciarpa fino a nascondere metà della faccia, rassicurante e confortevole nascondiglio entro cui ridere felice.

Mi sento una bambina con un tesoro nascosto sotto la giacca, una scatola di giochi o di caramelle, le braccia e le mani incrociate a tenerlo ben stretto.
E ad ogni passo sentirne la presenza mi costringe a scoppiare in sorrisi incontrollati, irrefrenabili!


Rido nascosta nella sciarpa, ma gli occhi mi tradiscono all'esterno, ridenti anch'essi, mentre cammino veloce per le strade con un segreto che m'illumina la giornata.

domenica 21 ottobre 2007

sospesa in obliquo

Non ho problemi a conoscere una persona, a mettermi in gioco, aprire pensieri sensi e sentire, so che non ho nulla da perdere e tutto da scoprire e assorbire, nuovi mondi che mi si presentano davanti.
Ma nel reincontro frano miseramente....

Perchè al primo incontro, la prima volta che compare un viso nuovo tutto parte da zero, tabula rasa, distesa vuota e liscia, giusto un po' di polvere volatile in superficie.
Qualunque costruzione può innalzarsi, crescere e puntare in alto, arricchirsi di volte e voli in equilibrio, tesi e saldi nello slancio del salto.
Ma poi, nel tempo tra due incontri, le corde poggiano le pietre a terra, i pali puntellano la costruzione, si tirano su delicati e quanto mai instabili ponteggi.
E la volta dopo arrivi, e ti trovi questo principio di architettura in divenire, una finestra già finita prima ancora di posare il pavimento, nessuna logica per aiutarla a stare in piedi, un'eresia rispetto ad ogni legge fisica.
Si arriva lì ciascuno da un'entrata diversa, e si riprende a costruire.
Ma tutto ora è più lento e complicato.
Ci sono già dei muri, già dei paletti, già alcune strade prefissate che diventano obbligatorie. Devi rispondere di quello che hai già creato e delle immagini che portava con sè, un mondo intero accennato e solo intuito, immaginato, edificato in una volta sola.

E in quel punto comincia a prendere corpo e spazio un pensiero strano, un dubbio strisciante... Ti chiedi se sarai in grado di corrispondere all'immagine che hai lasciato intravedere di te come fosse cosa preziosa..
E nella paura, ti chiudi in una sfera di vetro...

Ma talvolta, invece, proprio lì comincia il volo...
Ritrovi quelle stesse insicurezze, le vedi in specchio nell'altro, ti rendi conto di quanto la paura abbia afferrato entrambi, in fondo sconosciuti, e proprio per questo. Ancora tutto è in forse e in divenire, in conoscenza.
Sai che ogni parola potrebbe essere letta diversamente dall'intento, e procedi a piccoli passi, temendo di poggiare troppo il peso.
E tuttavia continui a sbilanciarti, perchè in sospeso non puoi stare.
Ti butti e vai, cercando di essere lì, ma con tutta la leggerezza che ti è possibile, cercando di far librare nell'aria parole, gesti e sguardi.
Ti butti perchè riconosci qualcosa, ti butti per non stare isolato dentro di te.
Ti butti perchè ne hai bisogno, pur non sapendo dove e come atterrerai.
E mentre parli, facendo finta di nulla, cercando di far uscire le parole in movimenti fluidi, non imposti, ti rendi conto di essere pur sempre in sospensione, in cui sei tu ma non del tutto, vagamente innaturale...
E cuore e polmoni che non lavorano in silenzio ti ricordano che ti senti in bilico, sospeso in obliquo...

spirali a vuoto

Ora scosterò le coperte, mi ci rincantuccerò sotto, lenzuola e lana fino alle orecchie, il naso fuori a respirare l'aria fresca, senza che la lana la filtri e la renda impura, melange.
Sprofondare finchè le orecchie non cominciano a comporre musica, fino al momento in cui me ne accorgerò e sarà l'ultimo istante di veglia, prima di piombare nel sonno.

Mi sento stupida, come se queste pagine non fossero più mie, ma poichè vengono direzionate ad altri sguardi improvvisamente è fatto loro obbligo di trasformarsi in versi e poesia.

Ma io non sono così

Scrivi, mantieni mano e penna in movimento, non fermarti, non curarti di quello che ne potrà venir fuori, pensieri random, a caso e alla rinfusa.

Il blog... Realtà virtuale che ha qualcosa di assurdo. Pensieri troppo privati che escono, sotto la luce troppo studiata di faretti di scena, messinscena del sè che non si accontenta di se stesso nè degli stralci di conversazione in cui è costretto ad aspettare il proprio turno. Lunghe digressioni monocentriche, ego che si espande fino ad ogni fessura e spazio libero, fino ad invadere anche i luoghi destinati all'Altro. Sogni solitari e intimità sovraesposta, soliloquio alienante che non prevede la risposta se non nell'assenza. Mi chiedo se sia il frutto di un'assenza di relazioni sentite, o se piuttosto non sia ciò che la causi...

Parole costrette a marciare a ritroso, e invece di disegnare istantanee di viaggio mi ritrovo in spirali a vuoto intorno a me.

Guizzini e pesci rossi

..fiaba della buonanotte..

Guizzino

In un angolo lontano del mare viveva una famiglia di pesciolini tutti rossi.
Solo uno era nero come una cozza. Nuotava più veloce degli altri.
Si chiamava Guizzino.
Un brutto giorno un grosso tonno, feroce e molto affamato, apparve tra le onde. In un solo boccone ingoiò tutti i pesciolini rossi.
Solo Guizzino riuscì a fuggire. Nuotò lontano. Era spaventato e si sentì solo e molto triste.
Ma il mare era pieno di sorprese e a poco a poco, nuotando fra una meraviglia e l’altra, Guizzino tornò ad essere felice.
Vide una medusa piena dei colori dell’arcobaleno; un’aragosta che si muoveva come una ruspa arrugginita; pesci misteriosi che sembravano tirati da fili invisibili; una foresta di alghe che crescevano da caramelle variopinte; un’anguilla così lunga che, a volte, si dimenticava la coda; e anemoni di mare che ondeggiavano come palme nel vento.
Ed ecco che nell’ombra degli scogli e delle alghe scoprì una famiglia di pesciolini rossi proprio come quelli del suo branco.
«Andiamo a nuotare nel sole e a vedere il mondo,» disse felice.
«Non si può,» risposero i pesciolini, «i grandi tonni ci mangerebbero».
«Ma non si può vivere così nella paura,» disse Guizzino «bisogna pur inventare qualcosa».
E Guizzino pensò, pensò a lungo. E improvvisamente disse: «Ho trovato: noi nuoteremo tutti insieme come il più grande pesce del mare».
E spiegò che dovevano nuotare tutti insieme vicini, ognuno al suo posto.
E quando ebbero imparato a nuotare vicini, disse: «Io sono l’occhio».
E nuotarono nel grande freddo del mattino e nel sole del mezzogiorno, ma uniti riuscirono a cacciare i grandi pesci cattivi.

(Leo Lionni, 1992)

sabato 20 ottobre 2007

voci

Voci che ne ricalcano altre.
Non posso fare a meno di trasformare i suoni che sento. Sono altri i timbri, altri i suoni, altri i luoghi. La tua voce che si acuisce nello slancio e quasi stona nell'impeto.
E ora non riesco a sentire queste musiche senza sovrapporre loro le tue parole, i tuoi occhi chiusi e persi in quel viaggio, la tua voce che canta e sostituisce quella che ora è nell'aria.

ladri di biciclette e cucchiaini

Giornata resa frenetica dagli spostamenti di una città che lo sciopero dilata e comprime insieme, rendendo lunghissime le distanze e convogliando per le strade così tante persone da non riuscire a muoversi, diventate folla convulsa.

Finalmente la sera, e un locale fatto di pouff bianchi e luci basse. Una scala mosaicata, pezzetti di ceramica colorata, forme irregolari e uscenti da sè, mezzo giro di spirale che modifica il tutto e trasforma il luogo, moderna improvvisazione di geometrie arabe e colori vividi.

-Confessioni di piccole manie-

... e d'un tratto, mentre con gesto da incallito e consumato approfittatore di cucchiaini altrui, reso esperto dalle innumerevoli gesta compiute, pulisci la forchettina dal miele rimasto per collocarla in borsa in un morbido e innocente, invisibile gesto distratto, vedi gli stessi movimenti ripetuti inconsapevolmente da un altro, un'altra.
Ritrovi e condividi stupide manie nel seminterrato di un pub, e ridi divertita, occhi felici e ben aperti.

E poi via, caccia al tesoro per le strade in cerca di una delle biciclette distribuite per tutta la città, tutte già prese. E una volta trovata schizzi per le strade, riconoscendo angoli e luoghi, in un principio di familiarità, su per le salite con le gambe che spingono, e senti la schiena che comincia a bagnarsi, nonstante l'aria fredda che passa attraverso la maglia di lana. Respiri l'aria umida, respiri il buio, senti l'aria fredda che entra nei polmoni e ne puoi seguire il movimento.
Non so dove sono e invento una direzione immaginata per tornare a casa, immersa nella città in notturna, in simbiosi quasi, me ne sento parte...

venerdì 19 ottobre 2007

sopra-suolo

Giornata di sciopero in Ile-de-France, e i Parigini hanno mobilitato armadi, soffitte e scantinati per tirarne fuori ogni possibile (o improbabile?) mezzo munito di ruote.
La città bloccata, gli impegni saltano, ma è viva di gente che si muove sul suolo, all'aria aperta, e si respira vita e movimento.
Persone che sfrecciano per lo più su due o quattro ruote, tra biciclette, roller e monopattini, faccia tesa e contratta nello sforzo del movimento, smorfia di fatica ma occhi diretti e lucidi.

Rue S. Michel, verso Chatelet, centro nevralgico, punto centrale di snodo e confluenza.
Un ragazzo, un uomo di trent'anni, vestiti da giornata metropolitana, maglione di lana a trama grossa, verde scuro quasi marcio, viso scurito da una barba appena lì, sfatta, la testa afferrata dalle mani di un bambino biondo appollaiato sulle sue spalle, avvinghiato con gambe e braccia, ridente, a sfrecciare dall'alto della sua postazione, a bordo della sua cavalcatura che spinge un monopattino mentre scivola veloce tra la gente.
Intanto, i raggi del sole in declino sono riflessi dalla Senna, e i colori si scaldano.

Al semaforo, assisto alla conversazione tra due gonnellini a scacchi che si salutano, medesimo tessuto. Uno si complimenta con l'altro per la nuova plissettatura, molto elegante, ma questo non capisce e se ne va, geisha indispettita dalle parole di un barbuto e biondo scandinavo...

martedì 16 ottobre 2007

viso di pietra

Chiesa di St-Eustache, sole che scalda l'erba, ancora verde ma umida d'autunno.
Guancia di pietra, il volto adagiato sulla mano, occhi bianchi e morti persi dentro al cielo uniforme e senza macchie, azzurro senza virgole.
Scalinata d'acqua affacciata su una piazza a spirale, grigio che a differenza di quello limpido della chiesa assorbe il sole, lo afferra e non lo restituisce.

E' giorno. Si vive e non si scrive.
Au Revoir.

sabato 13 ottobre 2007

desideri in bottiglia

Assenza di realtà e messaggi in bottiglia.
Messaggi in bottiglia che arriveranno a destinazione per essere rigettati nella risacca, dritti a sprofondare nal mare.

Vorrei essere un desiderio

domenica 7 ottobre 2007

amnesia di una stella mancante

Paris et la nuit blanche

Fuochi nell'aria e metallo rovente, fiamme blu.
Elettronica e piramidi in vetro, pannelli bianchi e luci pulsanti, organiche, in divenire.
Esseri metallici che pedalano tra acqua ed aria, galleggianti tra le luci.
Cinque piani di salottini al buio e in grazia decadente, luci a mezz'aria.
Piedi scalzi e chiese buie, luci blu ad attraversarle, voci sussurrate e senza fili.
Un sorriso di luna sopra al Sacre-Coeur.

venerdì 5 ottobre 2007

specchi e miraggi di sabbia

Guardo me sdoppiata allo specchio,
spalle nude e capelli intorno al viso,
scendono ad accarezzare la schiena in onde senz'ordine,
piccolo segno di ribellione che capisco solo io.
Ci guardiamo.
Ti chiedo e non mi rispondi.

Cammino per strada, testa alta ma occhi stanchi,
seccati e intorpiditi dal vento.

Miraggio di fierezza,
miraggio di sabbia scaldata dal sole
che il primo specchio fa ripiombare di nuovo a terra,
tornando polvere...

martedì 2 ottobre 2007

casa, pani-soli, e pensieri senza importanza

Un pensiero giusto prima di chiudere gli occhi, ormai sveglia, occhi stanchi ma senza sonno, le orecchie che continuano a sentire la musica già spenta. Gli occhi si chiudono, ma troppe cose da registrare per lasciarle scivolare via, domani già scomparse e dimenticate. Anche se forse potrebbe essere un bene.. Se già domani non le ricorderò più, non erano importanti...

Una boulangerie, e un pane a forma di sole che cresce a spirale.
Un pane-sole, immagine che sa di vita in esplosione, incontenibile, nutrimento frammisto a luce, distese di campi di grano giallo acceso che separa il verde intenso dell'erba sottostante dall'azzurro non velato del cielo, colori e luci così intensi da far quasi male agli occhi.
La crosta è dura, e le dita devono premere per perforarlo e sprofondare nella mollica bianca, oro esterno di grano e bianco di sole.
Le mani ne portano un pezzo alla bocca, sapore conosciuto, di casa! Un'altra forma, ma è la stessa consistenza sotto i denti, lo stesso impasto che invade la bocca.
E salendo le scale di legno e vernice bordeaux mi ritrovo a casa.
Addosso una maglia, che ancora per poco manterrà il volatile odore di casa, per cederlo subito al mio corpo, ricevendo in cambio pelle e lana, frammenti di altri luoghi.

Non le foto, non le immagini, non gli oggetti, ma odori e sapori ciò che la rendono più vicina, forse tra sensi e pensieri i più inconcreti, irriconducibili a ragione e parole, impossibili da spiegare nell'assenza, impossibili da descrivere se non facendo ricorso ad altri linguaggi, ad altri mondi ed esmisferi che non appartengono loro.