giovedì 30 ottobre 2008

cieli verdi

temo, tremo
non lascio segni

senso d'instabilità continuo
che tutto oscilla e resta in ballo senza posarsi mai
eterna giravolta che guarda pericolosamente avvicinarsi il suolo

ho le mani umide, rischio di sciogliere tutto
anche quelle poche tracce rimaste

non sentirai la mia voce
resterà un'unica frequenza bassa e rigida tesa su se stessa
respinta come davanti ad uno specchio
gettandosi contro di sè per frantumare il vetro

vorrei essere una figura nei cieli verdi di Chagall
i capelli sospesi in aria a far da scia

domenica 26 ottobre 2008

le bolle di sapone sono solo vetro un po' più fragile

incrinato, come si sentissero i cocci di vetro
scricchiolare tra i silenzi

illusionista di parole, non sono nient'altro

cerco abbracci, per sentirmi accolta contro corpi
a dirmi va tutto bene, chetarmi con parole lente e a bassa voce
così che io resti lontana da me, non riesca più a ferirmi

sabato 25 ottobre 2008

dormi dolcezza dormi

Una ninna nanna, nella speranza che possa aiutare a fare sogni più belli della realtà.

Dormi dolcezza dormi
Se vuoi vedere il mondo
Lo troverai nel sogno
Io te lo canterò
Ma se nel sogno capita
qualcosa che spaventa
Io sarò molto attenta
E ti risveglierò

C'è chi si è addormentato
Ed ha visto la radura
Sfrecciando come un passero
Che vola in primavera
C'è chi si è addormentato
E si è risvegliato grande
Era passato un attimo
Sotto le vecchie piante

Dormi dolcezza dormi
Ch'è tempo guadagnato
Quello che avrai perduto
Te lo racconterò
E se nel sogno vedi
Qualcosa che ti piace
Abbasserò la voce
Non ti risveglierò

C'è chi si è addormentato
E ha visto la pianura
Un usignolo e un passero
Col sole e con la luna
C'è chi si è addormentato
E come in pieno giorno
Ha visto per un attimo
Com'era bello il mondo

Dormi dolcezza dormi
Ch'è tempo guadagnato
Quello che avrai perduto
Te lo racconterò
E se nel sogno capita
Qualcosa che spaventa
Io sarò molto attenta
E ti risveglierò

[Calicanto]

lunedì 20 ottobre 2008

tra le palpebre

-Hai gli occhi chiusi.
Restò in silenzio. Il voltò si mosse appena, impercettibilmente.
-Perchè stai con gli occhi chiusi? Dormi?

Non sogno, non sto dormendo, so bene quali sono le mie finzioni. So le bugie che mi sono raccontata nel buio degli occhi, i miei pensieri inventati per rivestire le giornate di macchie colorate.
So aprire gli occhi, so riconoscere quando li ho chiusi. Sono bugie senza fine, per resistere all'aria che viene, non aprirli. E la luce è troppo forte, improvvisa, e allora resto immobile in mezzo alla strada, mi accuccio e chiudo gli occhi, sperando di evitare lo schianto.
Ho fatto tutto da sola. Ho costruito io i miei castelli di sabbia e poi ho fatto scorrere l'acqua salata nei fossati, a lisciare le pareti tonde delle torri fatte col secchiello. Ho camminato tra le mura, affondando nella sabbia ruvida ogni volta che arrivava l'acqua. E alla fine ho camminato sopra tutto, l'ho distrutto. Senza grazia, senza motivo, senza senso.
Gettarsi sabbia addosso, sopra, a seppellirsi un poco in più ogni giorno che passa per uccidere i pensieri belli non appena si presentano. Dico loro che non sono importanti, e così sono sicura che non sapranno tornare indietro, mi lasceranno in pace.
Mille tagli, imparando ad incidere la pelle di sbieco, di modo da far passare l'aria come taglio di carta fredda.
S'impara, s'impara tutto. Io sto perfezionando le maniere di ferire, sono diventata brava.
Mi canto da sola nenie tristi, cantilene per cullare i pensieri, ninnenanne per farmi dormire, chiudere gli occhi e chetare le voci.

-Dormi? Hai gli occhi chiusi.
-No, non dormo. Guardo le palpebre, cerco di colorare il mondo.

Per favore, fammi stare così ancora un poco...

sabato 18 ottobre 2008

i cocci di vetro riflettono il sole

Vento furioso, a trascinare le nuvole in colpi di spazzola, violenti a far male al cielo.
E sono cascate di foglie come goccie di pioggia che vengono giù, vorticano, crollano senza pudore. Scaglie di vetro dai colori tenui, trasparenti contro il sole pulsano a terra, di nuovo in tinte vive.

Sera, cielo terso d'inverno, col suolo segnato dai lampioni accesi a scivolare in una serpentina che guizza in curve morbide, lungo il fiume, in linee troppo lunghe per non potersi piegare. Azzurro velato d'acquerello a coprire le cose, cielo che si tinge di grigio a sporcare leggero i colori, lilla e poi giallo scuro, fino all'orizzonte pulito e liscio, arancio vivo e azzurro cupo.


A volte ci si avvelena a tempi lenti, senza accorgersene.
Entra in circolo, e poi credi di non meritarti niente di più.
E gli unici bagliori di luce sono quelli dei cocci di vetro calpestati a terra.

Mescolarsi alla polvere per convincersi di non valere nulla più.
Lettere immaginarie di cui ogni riga è una nuova stesura.
E alla fine le getterò tutte comunque.

lunedì 13 ottobre 2008

sotto il limite dell'eco

Scusa, non posso parlare più forte.
Non so se riuscirai a sentirmi, me che ti parlo.
Ma riuscirai mai a sentirmi?

Ti prego, accosta l'orecchio alla mia bocca, per quanto tu possa essere lontano, ancora adesso o sempre. Altrimenti non posso farmi capire da te. E, anche se ti degnerai di esaudire la mia preghiera, resteranno tanti silenzi che dovrai riempire da solo. Ho bisogno della tua voce, quando la mia viene meno.

Mi sentite, membra del mio corpo sparso? Sentite le mie impercettibili parole, ora o fuori del tempo? Per caso cerchi me, oh mio altro io? Cerchi il tuo ricordo che è presso di me? Forse che come stelle ci avviciniamo l'uno all'altro attraverso spazi infiniti, passo dopo passo, immagine dopo immagine?
E arriveremo mai a incontrarci, un giorno o fuori del tempo?
E che cosa saremo allora? O non saremo più? Ci annulleremo a vicenda come il sì e il no?
Ma di una cosa puoi essere certo: io avrò serbato tutto con cura.

[M. Ende]

domenica 12 ottobre 2008

a colori spenti

chiudo gli occhi e comprimo il petto
mi stringo e accoccolo su di me a trattenere calore

centellinare i ricordi per non sbiadirli
conservati sotto chiave perché la luce non li consumi e porti via

sabato 11 ottobre 2008

albero grigio

Mi sveglio e spengo di continuo, per riportare i pensieri all'incoscienza, per non lasciarmi portar via da una tristezza di fondo che cerca di pungere acuta ma che non posso ascoltare. E allora smetto di sentire.
Poche ore di sonno, mi sveglio stranita, fuori dal mondo. Per una notte vorrei sognare a colori, senza che le tinte cupe che mi tengono compagnia nel giorno prendano corpo e voce nei sogni distorti che compongo la notte.
Al mattino sono passi uno in fila all'altro per strade senza persone, solo le foglie a nascondere il cemento e ammorbidire i passi. Cielo azzurro e aria mite, i salici entrano coi rami morbidi nel fiume, le foglie ancora chiare raccolgono la corrente che passa, incidono onde.

Castello dall'opulenza di mattoni poggiati gravi uno sull'altro, troppo pesanti per poter suscitare bellezza, edificio schiacciato a terra da se stesso.
Ma poi c'è il parco.
Prati e prati e prati, dalle curve che salgono e scendono nell'erba morbida, le dita si tuffano tra gli steli verde liscio sentendo l'acqua fresca trattenuta sulla superficie della terra, colore vivo che sa di umido, un verde che riflette e mischia cielo terso e foglie gialle.
Sentieri in terra battuta, marroni, rossi e gialli a ricoprire il suolo, alberi in incendi a costeggiare. E ovunque, in macchie irregolari, senza forme, colpi di viola e bacche bianche, arbusti rosa dai frutti uguali.

Io, estraniata da me e dal mondo, i pensieri che non esistono più, sono solo la malinconia che respira lieve.
Cammino, parlo nell'aria, non parlo più, non voglio parlare.
Il bosco mi costringe a non sprofondare in me, mi prende gli occhi e mi trascina via tra le sue forme, i suoi colori e odori. Il sole attraversa la lana lavorata leggera e tra le maglie rade e fini tocca e scalda la schiena nuda, il corpo intero che sussulta e ringrazia, sorriso pieno.
Terra grigia, umida ancora di notte, giochi di legno e due altalene blu attaccate ad una trave liscia e scura.
Le gambe avanti e indietro cullano i pensieri, cullano me. I capelli vanno sul viso, sugli occhi, in bocca mentre torno indietro. L'aria invade il viso e il volo è verso un albero alto e saldo, dritto contro il sole. Tra le foglie filtra la luce e dietro le betulle dalle foglie argento si agitano all'aria.
Staccata da terra e sospesa in aria, lontana da tutto, c'è solo il bosco e la sua luce, i suoi odori umidi, vivi.
Toccare la terra e accarezzare i tronchi bianchi scorrendo i polpastrelli lungo i segni incisi in semicerchi neri. Alberi grigi dalla corteccia liscia, forme curve a snodarsi da terra, un istinto di tatto per sentirlo fresco nei palmi. Abbracciarlo nell'arco del corpo, sentirlo ruvido contro la pelle per sentirlo respirare, adattare i miei respiri ai suoi, lunghi e lenti.
Nessun rumore, nessun pensiero, né domande né risposte.
Solo, ci ascoltiamo respirare, io e quella corteccia grigia e ruvida, sulla mia guancia.

venerdì 10 ottobre 2008

sconfinare in un non

Sono città confinanti. Come quelle di Calvino, dove il mondo diventa un unico immenso spazio senza più confini, senza più segni a distinguere, a dare un senso. Non ci si accorge quando si passa da uno all'altro. Le frontiere sono state mangiate, i muri erosi, tutto fluttua nell'indistinto fino a scordare cos'era un tempo.

Sconfiniamo uni negli altri, senza nemmeno renderci conto di come e quando questo accada.

Passare al setaccio i pensieri come sabbia da sgranare e alla fine, una volta che i colori del giorno sono filtrati tra i vuoti della rete, i grumi che restano sono sempre gli stessi. Pensieri covati in un silenzio caldo, umido, ventre muto e buio che non fa filtrare luce. Tutto resta fermo e quiescente, stasi immobile che non porta a nulla.

Stato di dormiveglia perenne.
Non pensare e non sentire.
Non.

giovedì 9 ottobre 2008

muschio sulle coperte

Tornando a casa, verso Tiergarten, la metro scorre in superficie e il cielo è tagliato in due, come se le nuvole a un certo punto avessero deciso di finire bruscamente, stanche di quell'intriso di viola e grigio che sovrastava le case, rosa lucente a dar profondità alle masse d'aria. E di colpo si sfilacciano e finiscono senza un perché, lasciando spazio al giallo aranciato che caldo va a spegnersi nei toni cupi della cenere. Così fino alle punte delle case, due cieli in un tramonto solo.

Mi lascio fluttuare a pelo d'acqua, mentre ad ogni onda le orecchie si chiudono e mi ovatto dal mondo, senza passare allo stato di veglia.
Gocce d'acqua a scivolare sulla pelle senza toccarla, smetto di chiedere sorrisi che comunque non verranno.
Non è tempo di abbracci questo.
L'autunno è già avanti, gli alberi stanno finendo di perdere le foglie anche se i marciapiedi sono ancora invasi di scintillii di gialli e rossi.
Guardo in avanti con gli occhi fissi per non sbattere le palpebre, cerco di non pensare ai vuoti e ai no, agli sguardi spenti che hanno costellato il tempo.
Passi insicuri, non c'è equilibrio.
L'edera diventa ogni giorno di un rosso più intenso, gli alberi alternano gialli e arancioni caldi a verdi ancora nuovi e freschi, il muschio cupo e umido ricopre i tronchi grigi.

E le coperte lasciano passare l'aria.

lunedì 6 ottobre 2008

spazi vuoti e mercati gitani

Giro per le strade e non penso, accumulo e metto via, come vecchie cartoline o giornali usati impilati uno sull'altro. Soffermarsi appena e passar oltre per lasciarsi scorrere insieme alla pioggia.

Sono mercatini come spazi gitani, pioggia battente e vestiti bagnati, camicie aderenti alla pelle e capelli bagnati, gocciolanti freddi. Un uomo senza età, persa tra le pieghe della faccia, spinge una ruota di metallo gialla, ferro pesante, forse treno di altri dove e tempi o chissà che.
Ciarpame, cianfrusaglie ovunque, soffitte ribaltate come scatole dal tetto sfondato su banchi improvvisati, scarpe sfondate e giacche appese a stendibiancheria dai tempi migliori, servizi in vetro o plastica non ha importanza, divani zuppi d'acqua e macchine da cucire spugne di pioggia.
Gente che passa il tempo di domeniche da riempire, disfarsi di cose che non ti appartengono più per scambi strani sotto il cielo grigio, e in alto un aquilone verde rompe le nuvole fitte.
Odore di mais bruciato e caffè caldo a portar via, nuvole di vapore nell'aria fredda, terra e polvere bagnata nello spiazzo deserto della semiperiferia, dove i boulevards alberati sono finiti così come le case intonacate da poco. Sono palazzi dalle ferite a cuore aperto, intelaiature di ferro che spuntano dai muri, il cemento che si mostra crudo dove il colore è saltato via, il legno che si sfalda sulle porte e lascia segni scuri come bave di lumaca.
Una ragazza di profilo seduta su una finestra agli ultimi piani, la schiena appoggiata allo stipite, a fianco il nulla.
Città dagli spazi erosi, non luoghi vuoti che si aprono d'improvviso, in cui il tempo ha fatto la sua parte e piante, cespugli e rovi hanno trovato modo di crescere e diventare alberi. Spazi selvatici strappati alle case, rose selvatiche e vuoti che invadono Berlino, lì in attesa di edifici per riempirli mentre progetti stampati a colori accesi su plastica lucida li incorniciano in contrasti troppo finti.
Case crollate di peso, resta l'erba a invadere quel lembo strappato alla città, circondato in verticale da muri alti.

venerdì 3 ottobre 2008

conchiglie mute sulla sabbia

Ritrovo naturalezza nel lasciare tutto quanto per me, senza sapere se avrò poi voglia di cercarne un senso, ricopiare in bella su fogli bianchi, schermi finti in cui giocare con sé per illusioni dolci.

Si muore lentamente, un poco per volta.
E ritrovo la voglia di scrivere ora che sono partita di nuovo, ho altre nuvole nel cielo e colori diversi nelle vie, suoni e profumi che non so riconoscere.

Malinconia a cui cerco di non pensare. Per le parole che non usciranno da me, per il laccio viola che chiude le pagine, un anno racchiuso in un centimetro di spessore, io poco più che questo.
O forse è solo ciò che ne esce quando smetto di raccontare le istantanee raccolte nel viaggio, che tenute solo per me hanno poco senso.
Inutilità di raccogliere storie senza riuscirle a raccontare.

Toni di voce incerti, che non sai quanto puoi sbilanciarti, lasciar andare il tuo vissuto, lasciarti rivivere in altri occhi.
E non essere intesi, e vederli andar via, per imparare a censurarsi di nuovo, capire che non c'era spazio.
Pensieri che non volevo ascoltare, parole che non possono essere dette. Non più, forse mai ancora, per ritornare soli senza mai essere partiti.


..mancano occhi in cui sorridere

e in fondo a tutto continuo a sentirmi sbagliata..

giovedì 2 ottobre 2008

trattenere colori

Rendersi conto di aver ricominciato a pensarmi sola...

Non è gioia ma le tinte non sono nemmeno nei toni del grigio.
Sono solo colori un po' più spenti, quel gioire solo per sé che non riesce mai a vibrare fino in fondo.

E' sopravvivenza. Non ci si possono continuare a conficcare spilli in cuore.
Aver bisogno di un sorriso tenue per non sentirsi inutili, tristemente fuori posto.
Io a colori sbiaditi, che nello slancio avevo messo quanto di più bello potessi regalare.
E sulla pelle resta polvere.

Mi ritrovo e sento sola a guardare la pioggia che suona sul fiume, gli alberi ancora con le chiome piene che feroci si slanciano sull'acqua, gli argini invasi dai salici chiari che si intrecciano sul fondo scuro.
E ritornare poi la sera, senza più pesi addosso, sotto il cielo ormai cupo ma di azzurro e nuvole sfilacciate, le ultime luci a brillare sull'acqua. Fermarsi sul ponte a sorridere al fiume.

Sorrisi solo per me, senza pensare di poterli raccontare, che il silenzio non è un buon amico a cui dire le cose.
Colleziono colori e suoni tra le mie istantanee, per poterle recuperare nelle giornate d'inverno.
Avrò chiome d'oro lungo la metropolitana all'aperto di Berlino, i suoi muri cotto scuro.
Collezionate e non narrate, restano silenziose, quiete immobile.

Non è tristezza, non del tutto.
E' solo capire che devo trattenere i miei colori.
Sperando di non doverlo fare troppo a lungo. Sperando di non dimenticarli nel frattempo.
Forse è per questo che li scrivo...
Non voglio parole di circostanza.
I propri colori raccontati e non accolti perdono luce, invecchiano di colpo.
Meglio il silenzio allora, non capendo se sono stata io a volerlo...

mercoledì 1 ottobre 2008

voli senza logica

Mi controllo in ogni gesto e la tensione è sputata fuori con ogni parola, inutilmente malcelata.
Io come corda pizzicata da ogni goccia che cade dal cielo, suono stridulo di metalli che s'incidono di sbieco.
Le mie parole hanno il gusto dell'argento vecchio, ossidate di scuro non appena toccano l'aria.

Sentenze e intermezzi mentre l'ego si erge sovrano, convinto di potere tutto, di poter decidere di ogni mio destino.
Gabbie dorate in cui il mondo non conta nulla, esercizio di giochi infiniti di parole, perfezionato sempre più per stringere meglio.

Non voler gioire del mondo, e scorrere le strade chiudendo gli occhi, anche se il muro sanguina rubino e le foglie gialle cadono in voli senza logica, luci e colori che rimbalzano in sfarfallii di silenzio felicemente ingenuo. Ignorare gli alberi che danzano e creano un sottobosco all'ombra dei treni sulla sopraelevata di mattoni e ferro, ignorare i muri cotti dal sole, rosso bruciato di stelle a otto punte. Passar veloci, e non guardare le coperte vinaccia scuro gettate sulle panche di legno denso, i divanetti in vimini e cuscini bianchi sulla riva del fiume tra i lampioni gialli specchiati sull'acqua. E le candele circondate dalla carta bianca, a piegarsi e flettersi in rughe improvvisate, linee e tagli tra fiamme e vento.
La metropolitana corre lenta in superficie, rumore basso, un vibrare corporeo che risuona nei pensieri, lentamente calmi, battito del cuore in ferro e pietre

E mi sorprendo a pensare a me, a quel mio incessante farmi male nel cercare di convincermi del mio silenzio triste. Quel dirmi hai visto? non valevi la pena, che credevi?
Come un mantra recito i miei nomi. Ricordo luoghi e visi, traccio nell'aria linee e forme con le mani.
Bianco inerte di cui non so che fare.


e troppo spesso parlo sola...