sabato 11 ottobre 2008

albero grigio

Mi sveglio e spengo di continuo, per riportare i pensieri all'incoscienza, per non lasciarmi portar via da una tristezza di fondo che cerca di pungere acuta ma che non posso ascoltare. E allora smetto di sentire.
Poche ore di sonno, mi sveglio stranita, fuori dal mondo. Per una notte vorrei sognare a colori, senza che le tinte cupe che mi tengono compagnia nel giorno prendano corpo e voce nei sogni distorti che compongo la notte.
Al mattino sono passi uno in fila all'altro per strade senza persone, solo le foglie a nascondere il cemento e ammorbidire i passi. Cielo azzurro e aria mite, i salici entrano coi rami morbidi nel fiume, le foglie ancora chiare raccolgono la corrente che passa, incidono onde.

Castello dall'opulenza di mattoni poggiati gravi uno sull'altro, troppo pesanti per poter suscitare bellezza, edificio schiacciato a terra da se stesso.
Ma poi c'è il parco.
Prati e prati e prati, dalle curve che salgono e scendono nell'erba morbida, le dita si tuffano tra gli steli verde liscio sentendo l'acqua fresca trattenuta sulla superficie della terra, colore vivo che sa di umido, un verde che riflette e mischia cielo terso e foglie gialle.
Sentieri in terra battuta, marroni, rossi e gialli a ricoprire il suolo, alberi in incendi a costeggiare. E ovunque, in macchie irregolari, senza forme, colpi di viola e bacche bianche, arbusti rosa dai frutti uguali.

Io, estraniata da me e dal mondo, i pensieri che non esistono più, sono solo la malinconia che respira lieve.
Cammino, parlo nell'aria, non parlo più, non voglio parlare.
Il bosco mi costringe a non sprofondare in me, mi prende gli occhi e mi trascina via tra le sue forme, i suoi colori e odori. Il sole attraversa la lana lavorata leggera e tra le maglie rade e fini tocca e scalda la schiena nuda, il corpo intero che sussulta e ringrazia, sorriso pieno.
Terra grigia, umida ancora di notte, giochi di legno e due altalene blu attaccate ad una trave liscia e scura.
Le gambe avanti e indietro cullano i pensieri, cullano me. I capelli vanno sul viso, sugli occhi, in bocca mentre torno indietro. L'aria invade il viso e il volo è verso un albero alto e saldo, dritto contro il sole. Tra le foglie filtra la luce e dietro le betulle dalle foglie argento si agitano all'aria.
Staccata da terra e sospesa in aria, lontana da tutto, c'è solo il bosco e la sua luce, i suoi odori umidi, vivi.
Toccare la terra e accarezzare i tronchi bianchi scorrendo i polpastrelli lungo i segni incisi in semicerchi neri. Alberi grigi dalla corteccia liscia, forme curve a snodarsi da terra, un istinto di tatto per sentirlo fresco nei palmi. Abbracciarlo nell'arco del corpo, sentirlo ruvido contro la pelle per sentirlo respirare, adattare i miei respiri ai suoi, lunghi e lenti.
Nessun rumore, nessun pensiero, né domande né risposte.
Solo, ci ascoltiamo respirare, io e quella corteccia grigia e ruvida, sulla mia guancia.

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