martedì 30 settembre 2008

vetro rotto pieno d'acqua

Edera come vino rosso, gocce di sangue vivo sui muri chiari spenti dall'ombra.
Distributori di palline colorate e venti centesimi per cioccolatini in carte smaltate, colori sgargianti attraverso un vetro mangiato dal tempo, giochi vecchi e sorrisi pieni.
Ballerine in stringhe di metallo a rincorrersi, forme irregolari a intagliare i palazzi.
Vetro brillante e pioggia sospesa, trattenuta in aria senza lasciarla cadere.

Io, senza peso...
Pensieri annebbiati, non c'è né lucidità acuta né sprofondamento in queste parole.
Si snodano come segmenti senza lasciare traccia oltre a un contorno vuoto tracciato col nero.

Mare mosso e movimenti riassorbiti tra le onde, come non fossero mai stati fatti.
Le mie bottiglie lanciate tra le onde continuano ad affondare,
vetro rotto pieno d'acqua.

Parole senza senso, solo per cercare inutili metafore.
Cedere all'acqua e lasciarsi trasportare via.

lunedì 29 settembre 2008

cera bruciata

voglia di un abbraccio, senza parole.
solo calore dolce a dire ti sento
non ti preoccupare, non mi fai paura, ti tengo stretta.

e il gioco non vale la candela.
io non valgo quelle energie, ne brucio troppe
e in cambio non so nemmeno scaldare, fare luce.

sentirsi soli...

solo è quando non hai qualcuno a cui raccontare...

mercoledì 24 settembre 2008

traversate d'acqua

la stessa luce dei tramonti sul mare

i colli come isole sospese
galleggianti sul pelo dell'aria

magenta fuoco in punta d'orizzonte
e quella cupola slanciata sul filare del grigio
dissolta lei e dissolto il monte

tornando a casa
rivoli di nuvole su fondali rosa

irrealtà pura

lunedì 15 settembre 2008

fiori scarlatti

Andar via, spostarsi, senza in realtà fare alcun passo, e ottenere solo di allontanarsi da chi ti è caro, senza trovare nulla in cambio.
Mi perdo. Briciole di pane per recuperare la strada, ma con l'autunno e i primi freddi vengono beccate via prima che arrivi la notte e poi non resta modo di ricalcare quei passi.

Energia che portiamo con noi, che ce ne rendiamo conto o meno. La mia tiene alla larga, non fa avvicinare.
Rincantucciarsi in un angolo, per non provare, per non rischiare, per non ricevere l'ennesimo no a darti conferma di quello che tu già sai di te.
Eccezioni fatte per pochi, quei pochi che sanno toglierti la polvere dagli occhi e lasciarti sorridere all'aria leggera dei mattini autunnali, a quel sole che non sa scaldare ma porta luce, ed è già molto.
Resto seduta a terra mentre ricopri i tuoi passi. Non briciole ma sassolini bianchi ti indicano la strada, e sotto il primo strato di terra bruna brillano chiari di luce di luna.
Io resto qui, a vederti andare, interrando radici per fiori scarlatti. Sono le piante più velenose ad avere i fiori più belli, e io mi ammanto di colori vividi per ferirti gli occhi.
La mia energia come siero velenoso da cui guardarsi. Non c'è antidoto, non svilupperai resistenza alle mie stille dolci dal fondo amaro.

Circondata d'aria, come fosse una sfera di vetro, nulla entra e nulla esce.
Prima o poi anche gli occhi si stancheranno di guardare fuori. Già i profumi non li ricordo più. Gli unici che che ancora sono impigliati tra i pensieri sono quelli dei gelsomini bianchi nell'aria di notte. E il pane, caldo, appena uscito dai forni, mentre si mischia alla rugiada del primo mattino.
E' solo questione di tempo. Prima o poi se ne andranno anche questi.

Silenzio.

domenica 14 settembre 2008

riposarsi di sè

E per una volta cerco di fare le cose per bene...
Anche col disegno era così, iniziavo dai dettagli, curati nei singoli particolari, nelle sfumature, nei minimi tratti. Ma poi si perdevano nel vuoto intorno e senza uno sfondo in cui immergersi rimanevano simboli, tratti iconici senza senso, terribilmente studiati e freddi.
E allora oggi cerco di far fluire le parole libere, senza cercare di costringerle fin dall'inizio in cornici dorate, sperando che possano prendere vita scordandosi di voler essere belle.
E l'inchiostro slavato stinge i pensieri, come non fossero importanti.

Aria fredda e luce di pioggia finita, odore di terra bagnata che mi riporta a te, una stanza scurita dalle imposte chiuse e dalle nuvole colme, giorno ancora in sospeso mentre ti guardo per non svegliarti, ti sento respirare e ti sfioro per memorizzarti attraverso la pelle.
Fusa contro le piante dei piedi per raccogliere calore durante la notte, senza avvicinarmi per non svegliarti. Contatti minimi, giusto per sentire che sei vicino, aria e buio per consegnare ciascuno ai propri sogni.
Noi ci ritroveremo al mattino.

Non riesco a trovare parole, i pensieri non vogliono seguirmi.
E mi viene da pensare alle istantanee rimaste non dette.
I Cedri del Libano sono rimasti muti, racchiusi tra i mattoni rossi slavati da acqua e sole, quei tronchi e quei rami diventati lucenti pioggia, calore saldo che affonda al suolo, liscio nel poggiarsi alla pelle.
E ci siamo noi bambini che li sfidiamo ad ogni giorno d'estate, per fare pochi centimetri in più cercando appigli sui rami più leggeri. E ora uno scuarcio lo ferisce in tagli amari, una neve troppo pesante di un ventinove febbraio, dolore triste dalla linfa alle vene.
Ma nonostante tutto è vita piena, rami così antichi da aver oltrepassato i cancelli di ferro per tendersi oltre la strada e tagliarla dall'alto da parte a parte. Un bambino biondo ride a cavalcioni mentre una mano adulta dietro alla schiena è in attesa vigile per insegnargli cosa sia l'equilibrio.
E poi i campi selvatici dentro la città, racchiusi dalla cinta muraria, rampicanti e cespugli selvatici che ricoprono le rare case, odore dolce di uva fragola che macchia di scuro i muri inondati dal sole.
Una luce che in questa città non sa mai essere limpida e pura, e sempre un velo d'acqua passa in mezzo tra te e il mondo, sogno perpetuo che non se ne va nè sa di esistere.

In viaggio.
I paesaggi scorrono, il vento secca gli occhi che di rimando cedono lacrime, gocce nere che si disfano di continuo e restano in tracce scure sul fianco delle dita.
Perline di vetro nero ricamate su stoffa gialla, mani tenute occupate per tenere al laccio i pensieri, l'ago li trapassa e li cuce alla stoffa, cuciti stretti perchè non fuggano fuori controllo.
E il cuore pulsa forte.

Ricordo, io mi ricordo.
Quando prendevo la bici per venire da te.
Non erano nemmeno cinque minuti, non importava neanche che fossero passati giorni oppure ore.
Persone care che ti aumentano i battiti in ritmi asincroni, felicità perennemente acerba fatta di gesti mai conclusi.

Guardarsi negli occhi per sorridere.
Tu, che mi sei caro, tu che in fondo resti altro da me, mai interamente noto, tu altra vita e altra via.
Tu che sembra riesca a vedermi per ciò che sono, che mi guardi con affetto nonostante i difetti con cui ti sommergo ogni giorno, tutte le paure e le insicurezze che porto con me come catena pesante con cui so legarmi stretta.
E per qualche motivo che non capisco sei ancora lì, ad esserci e prestare attenzione, perchè per un tempo che non ci è dato sapere possiamo lasciare i notri passi a spiegarsi vicini, per ascoltarci in silenzio, toccarci in uno sguardo.

Persone che ti sentono per quel che sei, in quelle sfumature che sembrerebbero non poter condividere lo stesso corpo.
Tocchi dolci che vanno e vengono, parentesi tra schianti d'acqua infranti sulla pelle che lasciano segni come ustioni a tener memoria di sè.
Furia e dolcezza per contrappunti sincopatici in cui solo il desiderio ha diritto d'esistenza, mio o tuo non fa differenza.

Da sola mi faccio male, inizio a colpirmi nei punti deboli, affossarmi in colpi sordi per uccidere la capacità di guardarmi senza rancore.
E se faccio così è perchè mi dico che prima o poi anche tu riuscirai a vedermi come io mi vedo. E allora comincio fin d'ora a impugnare arnesi di tortura per punirmi di quel che sono.

Eppure scaccio i demoni, o almeno fingo di ignorarli.
Occhi chiusi e schiena inarcata ad accogliere carezze lente
vado in cerca delle tracce che mi hai lasciato addosso.
Segni tracciati a fondo, incisi dentro, mi fanno bene.
Sento per un attimo di potermi placare nel tuo abbraccio
e in quel momento, in te, mi riposo di me.

martedì 2 settembre 2008

légàmi

Passare da un luogo significa farlo proprio, scrivergli sopra il proprio tempo.
Sono foto, istantanee, suoni e voci che si mischiano alla terra, le dita aperte che entrano tese ma restano morbide nel penetrare quel corpo umido che vibra e respira, che la terra è energia anche quando facciamo finta che sia solo materia inerte. E' calore e forza ciò che i polpastrelli portano con sè, mentre la sabbia solletica irregolare sotto le unghie e la pelle si bagna appena nel fresco guardato dall'ombra.
Mescolare terreni e storie per ricordi sepolti a tempi brevi sotto il filo del suolo. Segni di riconoscimento a cui tornare, lì per noi, che siamo noi ad averli tracciati e lasciati per saperli trovare di nuovo. Fazzoletti bianchi appesi ai rami che il vento non riesce a portar via.

..quelle scale sono le note della tua voce in saliscendi..

Ieri, temporale scuro a invadere la sera. Sicuro di sè, Settembre è arrivato senza preavviso.
Pioggia che viene, si schianta, violenta. Vorrei saperla imitare.
Di colpo mi accorgo che so riconoscere il suo profumo. La pioggia sa di ruggine...
Prima che il cielo decida di caderci addosso corro incontro al vento, lo reclamo, faccio sì che la mia faccia, il mio corpo intero ne siano travolti. Gli sfreccio in mezzo, ferendomene di contro all'aria tiepida delle nuvole colme.

e i miei pensieri sono sciarpe di seta

légàmi
legami, a nodi stretti
aperti, gli occhi chiedono corde di cui non hanno bisogno
le mani sanno toccare l'aria, non è necessario fermarle in legacci
e tuttavia continuo a volere e chiedere nodi
in fermoimmagini allo specchio che guardano i propri volti riflessi
no, non sono necessarie corde, nemmeno fatte di seta
si tratta solo di un gioco, fatto per immagini
e nelle corde traccio le tue
in quei fili tessuti stretti stanno i tuoi desideri
corde con cui mi incateno
sciarpe di seta intrecciate in nodi che si sciolgono lenti
ad ogni respiro rinsaldo la presa