giovedì 25 dicembre 2008

jeux interdits

Parole dall'effetto devastante. Non arrivo nemmeno alla fine e gli occhi già bruciano, rossi, zuppi, come se di colpo si fossero lasciati andare, qualcosa nascosto appena sotto la superficie a esplodere di colpo. Crollo, così, senza motivo.
E la solidità ritrovata, i sorrisi, il Sole, diventano miraggi con cui gioco con me, restando in equilibrio a bordo del prato come fosse acqua in cui affondare. Non c'è abbastanza freddo perchè si formi ghiaccio.
Intorno ho le mie margherite che mi fanno sorridere e inclinare il capo al sole. Ostento sorrisi che in fondo sento anche, colori d'occhi e abbracci che scaldano e danno solidità di fondo su cui reggersi. Ma alla fine sono una gru in equilibrio su una gamba sola, e alla prima scossa se non volo in tempo cado a terra.

Quanto mi sento la pelle nuda...

La nebbia, il profumo di legna bruciata, respiri lievissimi a fianco che ti fanno crollare in sonni profondi, fino ai sorrisi del buongiorno l'indomani...
Ma le carezze non si possono chiedere, sono troppo intime.
Possiamo scontrarci, venirci addosso, evitarci, correre, danzare... Ma carezzarci no.
E' la bellezza della distrazione di gesti non pensati, mani che sfiorano la pelle in tocchi senza logica. Arrendevolezza sotto la punta delle dita per gesti di cura che non vogliono nulla in cambio se non un corpo che si distenda in un sorriso. E' lasciarsi andare, a prestare e ricevere cura.
Niente carezze... Non ci possiamo permettere di lasciarci andare così tanto, consegnarci all'altro perchè si prenda cura di noi.

Ecco, forse è questo... Ho reimparato a camminare, forse a narrare, e a volte credo di sapere anche danzare.
Ma mi mancano quelle carezze che ti dicono di non pensare, non preoccuparti, che qualcuno è lì a guardarti e soffierà sui tuoi pensieri grigi quando li vedrà velarti gli occhi.

Eppure non mi capisco lo stesso, non capisco perchè crollo di colpo, per un nonnulla. Non possono essere solo carezze che non sono, notti vuote e buongiorni non dati.

Senza accorgermene continuo a costruire castelli intagliati nella carta. Mi convinco che non ci credo e finisco per bagnarli d'acqua. E ancora una volta sono qui a pensare e credere in un gioco inesistente, violentandomi per convincere le dita a stracciare la carta.

lunedì 22 dicembre 2008

'til the end of the world

E' appena finito il primo giorno d'inverno, l'autunno è andato mentre io resto a sperare che i danni che ha portato con sè si esauriscano con lui e non lascino scie sulla sabbia fredda.
L'inverno è intimo nel suo freddo, ferma il tempo e sospende il sole, incastrato vivo tra i rami degli alberi che ricamano il cielo di trine scure.

Non riesco a stare in quello che arriva, vivendo spiazzata in tempi che non esistono.
Non sono brava a salutare, ho sempre cercato di evitare gli addii. E mentre ancora sono lì già mi vedo altrove e allora mi stringo un poco in più, la mia presa è un po' più stretta.
Inizio ad allontanarmi prima che succeda davvero, a piccole dosi...

Mischio luoghi per poche ore, le mie diverse vite si guardano negli occhi e scoprono le loro voci.
La pianura al tramonto è un unico cielo, trafitto dai rami spogli zuppi di nebbia, cielo fino alla fine del mondo.

lunedì 15 dicembre 2008

prestigiatori dal cappello bucato

Era così anche in Francia...

Talvolta odiavo Parigi, quando la sentivo parlarmi come un'amante gelosa che ti trattiene ad ogni costo, sussurrandoti dolce.
Non volevo parlare francese, proprio non volevo. Nè parlarlo nè impararlo, e sono andata avanti un anno a improvvisare parole, inventare frasi che d'italiano lasciavano trasparire ogni impronta.
E' che non volevo restare lì e quello era un modo come un altro per negare la cosa, come un bambino che si rifiuta di fare una cosa per ripicca. Non ti vuole seguire, proprio no! Perchè non vuoi capire che vuole restare qui, a continuare a giocare?! Ma tu l'hai costretto a venire, e adesso allora non puoi dire nulla se sta zitto. E' il suo modo di dirti che lui qui non ci vuole stare.
Ecco.. io ho fatto così per un anno, come se in quell'inganno da prestigiatore col cilindro bucato potessi fingere di accorciare il tempo, e non essere lì.
Non ha senso giocare coi se e coi ma, tuttavia.... Ci si perde in storie non vissute, in strade che hai visto e deciso di non prendere. E a volte incroci strade che sapevi di star facendo in modo di perdere...

Finisce comunque che ti scontri col mondo. Con quello che alla fine è venuto a essere, al di là di tutti i pensieri partoriti, di tutti i viaggi fatti o meno.
Non scrivo per restare nei miei giochi. Sono pensieri che da soli non se ne vanno e io non voglio incoraggiarli a farlo. Non scrivo per demandare, per cullarmi ancora un po'. Sapendo che non vedo il mondo e fuggo via.

In macchina, la radio accesa, raccontano canzoni e non scopro neanche che potesse essere, è già alla fine. Note, voce.. tutto resta incognito. Mi arriva solo l'ultima strofa, in italiano parlato.
All'incirca così:

non me ne faccio nulla delle mie paure
una volta che tu te ne sarai andato


e sorrido di un sorriso triste..


(quanto perdiamo per paura...)

venerdì 12 dicembre 2008

zucchero bruciato

Credo fosse il tuo modo per augurarmi la buona notte, per cullarmi...



Non eravamo mai nel silenzio, la musica ci accompagnava in tutto, ma il tuo mondo era a spigoli e cocci di vetro, nei tuoi suoni acidi e duri io mi tagliavo sempre.
Te lo ricordi quel giorno in spiaggia, a parlar di bombe?
Io e la mia bolla di sapone che mi avvolge, che mi sono sognata intorno per non vedere il mondo così com'è, che quando succede che la sua superficie d'aria si apra o tagli mi fa troppo male. Ho bisogno dei suoi riflessi un po' cangianti per non vedere la durezza di fondo delle cose...
I gridi acidi che suonavano la mattina mi facevano male.
Ma la notte mi cullavi con loro, anche se mi svegliavo e mentre tu continuavi a dormire io non riuscivo più a riaddormentarmi in quelle distorsioni melodiche.
Distorsioni melodiche... ma era la musica o eravamo noi?
Ancora non riesco ad ascoltarli fino in fondo, sono una coperta di lana ruvida che non mi lascia sognare tranquilla. Sono una ninnananna di succhi acerbi e un fondo dolce di zucchero bruciato.
Ma questa non ti è legata, ed è una nuova nenia per quest'inverno.
Te la lascio, per quando passerai...

giovedì 11 dicembre 2008

collezionista

Tengo tutto raccolto in scatole di cartone, di quelle rivestite in carta colorata, con lo spazio per scriverci cosa abbiamo messo dentro un tempo, per poterlo ritrovare una volta che ci saremo dimenticati di averlo avuto tra le mani.
Tengo tutto, non riesco a gettar nulla, collezionando ricordi di ogni tempo e luogo, oggetti o pensieri sono la stessa cosa.
Forse ho troppa paura che una volta che le avrò dimenticate sarà come non fossero mai esistite, mai successe, e allora le lego a me con corde a cui non voglio rinunciare, legate in modo tale da non potersi sciogliere.
Ma il rovescio mostra il trucco e alla fine dei conti per quanto io possa abbellirle restano catene.
Oblio.
Chi ricorda solo non vive. Non c'è spazio per il nuovo dove risiedono solo ricordi. E legandomi così stretta faccio in modo che niente possa trovare spazio presso di me, come se nulla potesse venire ancora.

Faccio il cambio dei cassetti per la stagione fredda, metto in ordine, metto via ciò che non serve, non appartiene più all'ora, convinta di aver sgombrato lo spazio come i pensieri.
E mi trovo a guardarmi stranita da fuori coi capelli bagnati e il trucco sfatto, con colori e voci adesi addosso che non vogliono andarsene, gli occhi a frugare tra la gente cercando sagome che non esistono. L'acqua piovana mi lava il viso e continuo a sentirmi corpi addosso.

mercoledì 10 dicembre 2008

ghiaccio in polvere

La nebbia la fanno i camini, sbuffando bianco in trasparenza su altro bianco.
Il tempo del respiro plasma le parole, i discorsi e i pensieri se ne vanno in nuvole bianche mangiati dall'aria.
Catene fatte d'aria palpabile, la metafisica non poteva nascere che qui.

Ho dimenticato come si scrive, il lasciarsi fluire indipendentemente da quel che è, lasciando i pensieri senza legacci, neanche fossero falconi da abbellire con un nastro alla zampa.
Ci sono cose che non vanno imbrigliate.

Città che riconosco a tratti, a cui appartengo fino in fondo, entrambe fatte d'aria.
Sono giardini antichi protetti da alti muri, sentieri in cotto ricoperti di ghiaccio lucido, a incidere l'erba rivestita di nebbia come scheletri bianchi, armature di ghiaccio in polvere su steli assiderati.
E' una casa in pietra, e fuori sculture e maschere in ceramica su panchine di cuscini gelati.
Alberi come mani escono da terra con una manciata di terra ancora tra le dita, il palmo curvo e proteso verso l'alto, i rami offerti al cielo. Foglie arancio, squame vive, appese ai vuoti come se qualcuno avesse scelto per loro dove stare, a decorare d'autunno un legno già in letargo. E i vetri vecchi sanno di blu cupo mentre il cielo immobile li schiarisce in oltremare, sfondo per gemme bianche che cullano i rami.
Vie deserte e case antiche in passi di danza sui ciottoli tondi. In fondo alla strada già non esiste più nulla.
Scale di coccio per arrivare a una conca d'erba chiara su cui galleggia acqua impalpabile, mantello di sera appoggiato in bilico per non toccare il suolo. Luci opache e incroci metallici a chiudere salite e sbarrare strade, estati e mondi fa, altre vite.

I noccioli di ciliegia scaldano le mani e profumano di legno, dolceamaro, inverno che cuoce nel forno.
E' tanto che non canto mentre mi addormento, non c'è più musica in quell'istante di semi incoscienza, quell'ultimo momento in cui ci accorgiamo di star sognando e interrompendo il sogno per un attimo rinunciamo ad essere coscienti e crolliamo nel buio.
Sono notti mute queste, i miei sogni non conoscono le note e premono tasti a caso.
Facessero un po' più attenzione...

venerdì 5 dicembre 2008

mattine d'acqua

I miei occhi riescono a sorridere.
Sorridono di coccole d'acqua, di pioggia che viene, e io con lei.
Pioggia, acqua che cade dal cielo incessante, continua. Non è violenta, eppure non si ferma, è fitta e cade sul vetro e sui muri in uno scroscio senza tempo né ritmo, un pizzicore che dà un tono al tempo che scorre, dà voce al giorno.
E intanto io continuo a sorridere con gli occhi, mentre il corpo s'immerge nel calore dell'acqua, nei fumi che salgono e annebbiano l'aria. Occhi chiusi, luci appena accennate, giusto un chiarore diffuso per non accendere il giorno e lasciare le cose confondersi e perdersi una nell'altra. Olii, profumi da spandere, odore di rosa a mischiarsi alla pelle, troppo denso e carnoso lascia scie nell'aria. Restano le note di corpo, gelsomino e arancia, per sensi leggeri.
Tocchi di fisarmonica e sapore di cioccolato in bocca. Spezie, chiodi di garofano a punta amara e cannella acre, mandorle sbucciate a saper di dolce. E torno piccola al mattino, quando la ricotta si mischia al miele, e manca solo la cannella color bruciato per andare al contrario.
Pioggia fitta, acqua che viene, giorno lento. Sotto la tettoia di plastica lo stefanotis assorbe i colpi dell'acqua e vibra piano.

lunedì 1 dicembre 2008

parole d'aria

Il cielo si scurisce d'indaco, con le nuvole grigio cupo a riflettere il tramonto, incendio di temporale. E la tempesta si è sfogata, si allontana e mi lascia in pace. Le nuvole cupe non fanno più parte dei miei giorni.
Ci sono i campi dall'erba ghiacciata, steli bianchi e rigidi che riflettono il cielo. I salici hanno ancora le foglie, e l'acqua è circondata da rovi e piume color polvere. I pioppi sono saldi a terra, coi tronchi robusti senza foglie che entrano con forza nell'aria.
Le betulle hanno serbato le foglie solo sui rami più alti, da un lato bianche come la scorza del tronco, argento sull'altro.
Foglietti bianchi appesi in aria, pensieri e parole disperse.
Brillano, lì, sulla punta dell'albero. Come desideri in dono al cielo.