domenica 27 settembre 2009

di chiese silenziose e d'aria gravida

Rivoluzioni silenziose.
Quanto mai interne e discrete si palesano senza fare rumore nè squilli di tromba. Non ci sono nemici da abbattere nè rese da trattare, semplicemente avvengono, normali quanto un respiro.

Suona un violino, e la mia camera profuma ad entrare di bucato steso ad asciugare, sapone misto ad aria. Ho comprato un ciclamino rosso-fucsia, così quando guardo fuori dalla finestra incrocio i suoi fiori accesi ai semi rossi della magnolia, racchiusi in quei bozzoli scuri che sono i suoi frutti.

Lunedì sono finite le danze e le storie, notti di poco sonno passate a sentirsi narrare favole e leggende, poi parole belle per riascoltare e ritrovare parti di me che avevo perso e dimenticato lungo la strada.

Anche Roma può essere silenziosa talvolta, nel cortile interno di una basilica, lasciata al buio col cielo blu e nuvole rasate. L'erba bagna i piedi scoperti, umida di pioggia e di notte in arrivo. Intorno due filari di vigne, odore di uva fragola a impregnare l'aria, a renderla gravida in suolo consacrato. I chicchi morbidi e tesi cercati al buio, spremuti nella bocca con la punta delle dita.


Rifaccio l'errore di immaginare inesistenti in un futuro prossimo da plasmarvi addosso, quasi fossero veri.
Ma un po' respiro casa, mi regalo fiori e faccio il pane per svegliarmi con l'odore caldo che invade casa e avere la mollica morbida ancora tiepida in bocca.
Provare a prendersi cura di sè, finchè dura...

martedì 15 settembre 2009

la bellezza è semplice

Vorrei silenzio, e la tv invece ammorba l'aria e non mi fa pensare, trascinandomi via nel suo vociare.
Mi si chiudono gli occhi, pesanti per lacrime e abbracci, la fronte aggrottata a trattenere l'acqua piovana di occhi che piangono all'ingiù; piango per altri, piango di tutto e di niente, piango di un sottotetto troppo bello per essere vuoto.

Centro sociale alla periferia di Roma, un vecchio casale raggiunto da strade sterrate che intorno hanno solo campi. Lontano, il cielo si apre e le nuvole salgono, il sole comincia a scendere e tutto si tinge di rosa e d'oro fuso: alberi, erba, vallate, casolari lontani...
La pioggia della mattina ha reso il terreno scivoloso, fango grigio, ma superata la sbarra d'entrata si apre una distesa d'erba di verde nuovo che riflette il cielo ormai chiaro e c'è una casupola, luci accese dentro e fuori decine e decine di piccole scarpe di tutti i colori: bambini scalzi e sospesi in aria, lì a giocare a fare gli acrobati sui fili tirati ai due capi della struttura, a giocare e basta, a ridere senza peso.

Il prato procede in un saliscendi fatto di declivi leggeri, e appena girato intorno al casale il cielo è invaso di centinaia di palline colorate che si rincorrono in aria; subito sotto, sguardi presi e sorrisi aperti.

Alcuni sorrisi non hanno ostacoli, e nonostante possa esplodere il mondo interno senza rumore gli occhi prendono la volta del cielo e il sorriso si apre per non lasciare nulla indietro.
Non sappiamo chi siamo, ma gli occhi sorridono aperti e non c'è più nulla da chiedere.



Musica leggera tra il dolce e il malinconico, e una candela accesa che come vela ti trascina via, con il vento piovoso a gonfiare le tele bianche, tracce di salsedine a specchiare l'acqua che cade mentre la pioggia lava il sale e diventa pianto.

La fiamma trema e la luce sobbalza, i miei ricordi sono serbati in una busta di carta di cotone con un loto impresso a sbalzo su un lato; da oggi accolgono anche un pezzetto di metallo. Foto, disegni, piume... e un centesimo rosso attaccato a una calamita al contrario, che non riesce ad attraversarlo.
I centesimi caduti non vanno raccolti, così che qualcuno possa trovarli; un po' come è per i quadrifogli, che vanno donati perchè portino fortuna.
Due palline da giocoliere arancioni restano silenziose sulla poltrona dai soli blu. Lì ferme a sporcarsi dell'ultimo sole prima che l'autunno arrivi davvero, prima che sia notte.
Le cose capitano, ma i semi vanno piantati. Occhi vigili per sapere vedere la terra smuoversi, per aiutarli a bucare il suolo e germogliare.

Continua a piovere su Roma e il buio si schiarisce da tanta è l'acqua che viene giù.
Rinata. Morta e rinata insieme.
Di colpo ritrovo cos'ho perso, lo ricordo e scopro specchiandomi in un sorriso che mi guarda. Mi basta, senza altro; è tutto lì. E gli occhi si riempiono di lontananza...
La bellezza è semplice, basta a se stessa. Non ha bisogno d'altro, nè di giravolte nè di maschere; non ha bisogno di dipingersi per altro perchè già bella così com'è.
E' come se avessi ritrovato di colpo una vecchia scatola di latta piena delle fotografie che una volta sono stata io a dipingere mettendo in posa le cose. Le dita sono sporche di polvere e le caramelle messe via un tempo si sono appiccicate alla carta e non sono più buone. Ma resteranno sul fondo, lì al buio aspettando che arrivi il momento di gettarle; ancora no, che restano troppe foto e troppi disegni di cui ancora non riesco a scordarmi.
Capita spesso che mi scordi di me, seguendo immaginari che non sono i miei e smarrendomi per strada. Ma l'altro ieri ho fatto il pane e sul tavolo della cucina le pesche si stanno macerando nello zucchero e domani casa odorerà di marmellata, succo di limone e un tocco di zenzero a profumarla.

Non ho intenzione di richiudere la scatola, non tanto presto. E quelle foto vegliano i miei sogni, sono me quando mi permetto di essere loro.
Rinata, morta e rinata ancora. Ora c'è da prendere matite e fogli e cominciare a disegnare.
Niente è cambiato in fondo, ma i miei occhi sono un po' più schiusi; o forse semplicemente non sono aggrottati e a volte tendono in alto.
Stanotte non sono sola, che ho la pioggia a cullarmi...

domenica 6 settembre 2009

trine di ferro e monete d'ottone

Mercatino d'inizio mese, mobili pieni di polvere e fiori di lavanda e argenti maculati di nero a trasportare indietro.
Tira vento, se le tende e i gazebo bianchi non fossero arpionati alle cassepanche di legno massiccio finirebbero per ribaltarsi, trascinando con sè tutti i ninnoli di ceramica e i macinini da caffè.
Pesi ricolmi di tempo trattengono a terra un passato che volentieri se ne volerebbe via; qua e là compaiono manichini in ferro battuto, corpi di donna svuotati e ricamati in trine di metallo azzurro che restano lì a ballare con le nuvole scure precipitate a terra.

Non scrivo mai nulla di vero. E non invento niente.
Simulo, simulo e rivesto, do altri volti e nomi. E tutto rimane fermo, irriconoscibile al punto che spesso nemmeno io mi ritrovo più. Ogni cosa e ogni volto sono mascherati e coperti con pitture strane, sculture in cartapesta e piume di pavone.
Sfinge o oracolo ubriaco da pagare con monete d'ottone, parlo per enigmi che spesso non so più nemmeno da dove fossero partiti. Sono solo parole in fondo, parole che si rincorrono per fare in modo di non ricordare fingendo di farlo; parole per sommergere ciò che potrebbe emergere prima ancora che questo possa farlo, prima ancora che possa prendere anche solo una boccata d'aria.
E poi mi meraviglio di restare in apnea...

venerdì 4 settembre 2009

anche le città a volte sognano

E' finito agosto, e l'aria di notte è già più fresca, colpi di vento che vanno a ricordare alla pelle dove comincia e dove finisce, a rammentare della propria forma.
Sembra quasi mattino, un mattino in cui il nero ha già lasciato posto al blu del primo giorno, chiaro, quasi luminoso, dice. Non è mattino invece, ed è un tempo sospeso che sa da notte insonne. Gli uccelli non cinguettano, non si chiamano nè rispondono da un capo all'altro della strada. Al più restano i grilli, racchiusi nel vuoto delle grondaie per canti aciduli che vibrano e risuonano lontani.

Sono passati musicisti e attori per le strade, mimi dal naso rosso e fisarmoniche per tanghi violenti da cui farsi portar via.
E tornare a casa la sera è trovare la città un po' cambiata, senza più nulla dei colori del giorno che la fanno risuonare a festa. Le strade smettono di suonare ai colpi di grancassa, i violini sono stati portati via e non ci sono più tappeti nè cappelli a raccogliere monete. Non ci sono nemmeno più palloncini nè trampoli, e tutto resta in silenzio. Sì, un po' più in là si suona ancora, ma bastano poche centinaia di metri e tutto si assopisce, entra nel sonno profondo delle giornate troppo colme.
La città si è fatta cambiare in questi giorni, anche se non se ne accorge o finge di non saperlo.


Rotonda ovale, un arco per entrarvi e un altro per uscirvi; lì, seduti a terra, un ragazzo e una ragazza a gambe incrociate parlano nel sonno circostante e nei residui di festa. Il castello li guarda muto, e nel suo rigore di sempre vigila e non dà voce, forse nemmeno pensa più ormai.
Passa un giorno e anche la notte fa il suo corso, ed è di nuovo la rotonda ovale tornando verso casa.
Stavolta non ci sono parole, ma giravolte e strette di una coppia che balla senza musica, per ballare ancora dopo aver danzato tutto il giorno, finalmente in silenzio con un palco inventato a bella posta solo per loro, solo per quella notte.

Agosto è finito, e mi mancherà il suono dei bracciali d'argento sui polsi mentre torno verso casa, lì a tintinnare ad ogni ammaccatura della strada. La catena della bicicletta picchia in qualche punto, ma è chiusa e non riesco a metterci mano per aggiustarla; non ho nemmeno tempo per portarla da qualcuno, e l'ultimo vecchietto che ne conosceva la meccanica ha chiuso bottega. No bici mia, tranquilla, non ti porto più da gente che non sa trattarti; ti meriti dita d'oro.
Facciamo un bel suono insieme, io coi miei bracciali d'argento russo e la catena a mettere il ritmo; concertino a percussioni per argento, acciaio e ferro. E passiamo veloci tra i sonni altrui, tra le strade vuote e l'aria umida mentre torniamo a casa.

Il cielo è sempre più chiaro, vorrei sprofondare tra lenzuola blu senza sogni, un unico e profondo sonno senza pensieri. E che domani fosse nuovo.
Dovrei dormire a testa in giù per potermi addormentare guardando la luna...
Luna bianca per sogni tondi e senza peso. Tic, tac, tic, tac... passi sui ciottoli che giocano con loro stessi. Ogni tanto mi reinvento.