martedì 29 dicembre 2009

bianchi, neri e venature in mezzo alla neve

In fondo sogno più di giorno che di notte, mi permetto fantasie
che di notte uccido senza troppe cerimonie.
Nessun fiore bianco, bare vuote di cose mai state.
Mi trovo a sognare volti e corpi
con cui non ho condiviso che un arco di ore,
in un buio inquinato di suoni che assolve tutti.
Potrei davvero annegare nel primo sorriso che mi venisse rivolto...
I sogni riportano alla realtà, contrastano bianchi e neri,
un gesto mai stato diventa mano ad allontanare.

Di questi tempi i sogni sono più concreti del giorno:
non accettano compromessi
e non si fanno abbindolare da una carezza.
Però poi è difficile vivere alla luce
senza potere più immaginare nulla.

Bel lavoro, grazie sogni miei, grazie censore interno!

Eppure forse dovrei ringraziarli davvero.
Mi impediscono che a stupirmi siano cocci di vetro e monete false.


i semi si piantano, e crescono fino a fiorire e morire
nutrire poi di bacche bianche bianchi uccelli che saltellano intorno

diventano filigrane e venature in mezzo alla neve
e poi tutto ricomincia di nuovo



Rannicchiata potrei essere racchiusa intera
tra due braccia e un torace.
Non occupo molto spazio in fondo.

forse anche meno di quanto me ne occorrerebbe

lunedì 21 dicembre 2009

candeline da the

Evoco Eros senza capire che non serve a nulla, che è una voce gettata nell'arco tracciato a terra tra due monti.
Io resto lì a giocare con me, per lo più sola.

Uccido i tempi lunghi facendomi intorno terra bruciata.
Mi accendo sulle spalle candeline da the, come se in quella luce tremante potessi essere una lucciola, bagliori per dire quanto non so fare con le parole.
Candeline sulle spalle, e appoggiate sul capo chinato all'ingiù.
Candeline a bruciare i tempi e ad ardere me, in gesti e sguardi che sarebbero da esiliare.
E infine, in quella fiamma che trema, brucio anch'io.


Non saprai chi sono, e mi venderò a te per una carezza distratta.
Crederai che in fondo non chiedessi altro,
io fingerò tu mi stia carezzando.

E infine ti darò ragione.

giovedì 17 dicembre 2009

idoli

Siamo partiti col buio, col ghiaccio iridescente a incrinare i vetri, a irradiarli. Il cielo color blu notte, con un ritaglio di luna a inciderlo di sbieco.
Era notte e faceva freddo, c'era la luna e l'aria si tagliava con gli occhi. Poi è cominciata la nebbia, e il mondo è scomparso col chiarore del primo giorno.
La strada terminava, finiva nel nulla. Un respiro ad appannare il mondo e a tenerci sospesi.

Le cose non accadono davvero finchè non ci sei in mezzo.

Sono arrivati i monti, i colli del veneto. La galaverna costruiva qua e là sculture di ghiaccio, mondo riemerso.
L'alba alle spalle, verso le montagne uno slargo del fiume che apriva la roccia e ingrandiva la terra, vallata protetta. Costoni di pietra sedimentati a lastre, e un fiume d'acqua gelida che scorreva lento. Una casa sospesa su un appiglio di monte, ed eravamo già oltre.

Rose bianche e cenere, e gli idoli se ne vanno.
L'ultimo saluto, l'ultimo grazie mentre le campane suonano al cielo terso.

Bisogna dare idoli belli alle persone. Troppo facile, mediocre, inseguire ideali bassi, quel che già ci appartiene.
Io avevo scelto te e i tuoi capelli rossi in mezzo al bosco, me e le casette di cartone e felci.

Chissà se le ferite rimarranno.
Chissà se ora che non ci sei più sapranno col tempo riassorbirsi, o se invece non hai portato con te tutte le creme e gli unguenti, e noi resteremo qui a leccarci ferite aperte...

Nevica, e non avere chi si prenda cura di te nell'inverno.
Io qui a cercare contatti che non verranno, e se verranno saranno sbagliati.
Il tuo riso in ognuno di quei fiocchi di neve, a durare finchè non si appoggiano a terra.

mercoledì 9 dicembre 2009

nomi d'inverno

Da qualche parte, oltre Orvieto.


Lasciare Roma i giorni di sole mette sempre tristezza, che sa splendere quando sopra si ritrova il cielo terso. Le case chiare tingono luce, mentre gli intonaci colorati pulsano e toccano l'aria.
Campi e colline fatti di sola terra, e dicembre sa da primo autunno.
Intorno a S. Giovanni le case più ricche e con le pergole a incorniciare le porte sono ricoperte da gelsomini fioriti. Sembra febbraio, con l'erba nuova che sa di tenero, ma talmente rada da essere poco più di un respiro di terra smossa, una foschia leggera.
Alberi senza foglie, ma sotto il sole non sono tristi e sanno d'arancio cupo, vivido.
Il sole non si riesce ad alzare da terra d'inverno, e resta sempre sulla linea degli occhi. Le cose si colorano come fosse tramonto, il cielo resta azzurro denso e la terra si disfa e ricrea tra rossi e gialli e ocre.


Non so usare i nomi.

Come a volere appropriarmi delle persone. Tenerle legate in un vincolo di nomi creati apposta per quel legame e non per altri.
Ma forse non li uso perchè non so se posso permettermi l'intimità del tuo nome...

mi sei davvero così familiare?

venerdì 4 dicembre 2009

pesanti come farfalle

Deserto.

La pelle è fragile come terra secca, arida di giorno e con la notte subito scossa a un soffio d'aria.
Le carezze possono essere fatte per errore? Sono ancora carezze allora?
Gusci vuoti, che non risuonano di nulla visto che in fondo nulla li ha toccati.
Eppure forse è un bene.
E' un bene che le carezze vengano subito dimenticate se non ne si vuole sentire le mancanza. Spilli piantanti addosso, aumentano la presa col passare del tempo. Farle diventare lontane è l'unica cosa che ancora resta, così che si trasformino in un dolore sordo, così continuo da rimanere una nota di fondo che quasi non si distingue più.
Le lacrime servono ad epurarsi da quel quasi, a far sì che quegli aghi siano meno conficcati.
Le parole belle muoiono col passare delle ore, come farfalle. Ma dove si sono posate lasciano solchi e ferite aperte. Così le carezze.
La pelle è un campo di battaglia, sufficientemente lacero da sembrare ustionato anche ad inverno fatto.
Cancellare le cose belle quando si presentano perchè la loro assenza non possa bruciare.
Dimenticare.
E infine dimenticare di aver dimenticato.