lunedì 15 dicembre 2008

prestigiatori dal cappello bucato

Era così anche in Francia...

Talvolta odiavo Parigi, quando la sentivo parlarmi come un'amante gelosa che ti trattiene ad ogni costo, sussurrandoti dolce.
Non volevo parlare francese, proprio non volevo. Nè parlarlo nè impararlo, e sono andata avanti un anno a improvvisare parole, inventare frasi che d'italiano lasciavano trasparire ogni impronta.
E' che non volevo restare lì e quello era un modo come un altro per negare la cosa, come un bambino che si rifiuta di fare una cosa per ripicca. Non ti vuole seguire, proprio no! Perchè non vuoi capire che vuole restare qui, a continuare a giocare?! Ma tu l'hai costretto a venire, e adesso allora non puoi dire nulla se sta zitto. E' il suo modo di dirti che lui qui non ci vuole stare.
Ecco.. io ho fatto così per un anno, come se in quell'inganno da prestigiatore col cilindro bucato potessi fingere di accorciare il tempo, e non essere lì.
Non ha senso giocare coi se e coi ma, tuttavia.... Ci si perde in storie non vissute, in strade che hai visto e deciso di non prendere. E a volte incroci strade che sapevi di star facendo in modo di perdere...

Finisce comunque che ti scontri col mondo. Con quello che alla fine è venuto a essere, al di là di tutti i pensieri partoriti, di tutti i viaggi fatti o meno.
Non scrivo per restare nei miei giochi. Sono pensieri che da soli non se ne vanno e io non voglio incoraggiarli a farlo. Non scrivo per demandare, per cullarmi ancora un po'. Sapendo che non vedo il mondo e fuggo via.

In macchina, la radio accesa, raccontano canzoni e non scopro neanche che potesse essere, è già alla fine. Note, voce.. tutto resta incognito. Mi arriva solo l'ultima strofa, in italiano parlato.
All'incirca così:

non me ne faccio nulla delle mie paure
una volta che tu te ne sarai andato


e sorrido di un sorriso triste..


(quanto perdiamo per paura...)

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