lunedì 6 ottobre 2008

spazi vuoti e mercati gitani

Giro per le strade e non penso, accumulo e metto via, come vecchie cartoline o giornali usati impilati uno sull'altro. Soffermarsi appena e passar oltre per lasciarsi scorrere insieme alla pioggia.

Sono mercatini come spazi gitani, pioggia battente e vestiti bagnati, camicie aderenti alla pelle e capelli bagnati, gocciolanti freddi. Un uomo senza età, persa tra le pieghe della faccia, spinge una ruota di metallo gialla, ferro pesante, forse treno di altri dove e tempi o chissà che.
Ciarpame, cianfrusaglie ovunque, soffitte ribaltate come scatole dal tetto sfondato su banchi improvvisati, scarpe sfondate e giacche appese a stendibiancheria dai tempi migliori, servizi in vetro o plastica non ha importanza, divani zuppi d'acqua e macchine da cucire spugne di pioggia.
Gente che passa il tempo di domeniche da riempire, disfarsi di cose che non ti appartengono più per scambi strani sotto il cielo grigio, e in alto un aquilone verde rompe le nuvole fitte.
Odore di mais bruciato e caffè caldo a portar via, nuvole di vapore nell'aria fredda, terra e polvere bagnata nello spiazzo deserto della semiperiferia, dove i boulevards alberati sono finiti così come le case intonacate da poco. Sono palazzi dalle ferite a cuore aperto, intelaiature di ferro che spuntano dai muri, il cemento che si mostra crudo dove il colore è saltato via, il legno che si sfalda sulle porte e lascia segni scuri come bave di lumaca.
Una ragazza di profilo seduta su una finestra agli ultimi piani, la schiena appoggiata allo stipite, a fianco il nulla.
Città dagli spazi erosi, non luoghi vuoti che si aprono d'improvviso, in cui il tempo ha fatto la sua parte e piante, cespugli e rovi hanno trovato modo di crescere e diventare alberi. Spazi selvatici strappati alle case, rose selvatiche e vuoti che invadono Berlino, lì in attesa di edifici per riempirli mentre progetti stampati a colori accesi su plastica lucida li incorniciano in contrasti troppo finti.
Case crollate di peso, resta l'erba a invadere quel lembo strappato alla città, circondato in verticale da muri alti.

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