venerdì 18 aprile 2008

the caldo e profumo di menta

Commedianti.
Certe giornate non sono altro che piéces teatrali che nascono e vivono per essere raccontate, attori per spettatori immaginari, passanti inconsapevoli di quel viene recitato per loro.
E allora, per chi non ha potuto assistere,
per chi c'era ma non se n'è reso conto, nascono le storie.


Zone ricche, cancelli pesanti e fiori e alberi che spuntano dall'alto ritti nel cielo, betulle dal tronco bianco e le foglie chiare, glicini che stanno iniziando ad assumere toni di viola, ancora così tenui, appena intuiti, foglie nuove che morbide non si sono ancora dispiegate ma lanuginose e carnose si appoggiano una sull'altra, verde nuovo che sa di sole.
Poi però tornano il grigio e giornate di freddo intenso, come fosse ricomparso l'inverno a esigere una presenza non scontata. In giorni così si accusa il vento freddo ancor di più, e la testa protesta, soffrendo un poco per quest'improvvisa rinuncia alla primavera.

Così, resistendo solo per puro senso del dovere, restare in facoltà fino alle otto di sera. Uscire, e trovare il cielo ancora chiaro, vento gelido mentre attraverso la Senna, verso la metropolitana, e cielo di colpo diventato cupo che fa contrasto con gli alberi che lungo il fiume hanno iniziato a vibrare tra gialli e verdi, nuvole intense che seguono nel movimento l'acqua che scorre.
Casa, finalmente, calda e a suo modo accogliente, riempita di quelle immagini che ormai porto con me ogni volta che cambio spazi, sorta di filo che permette di mantenere legami, di sentire con me il passato che è stato finora. Stanchezza e voglia di riposo, giornata già quasi finita senza essermi resa conto di come.
Porta della cucina che separa metà della casa chiusa, strano... Tento di spingerla: inutile. Resto un momento di sasso, pensando alla finestra rotta nella stanza di là e al vento forte che ha soffiato per tutto il giorno e avrà fatto sbattere tutte le porte di casa. E nello stesso tempo mi rendo conto che quella porta non ha maniglia, mentre le tiro una spallata contro sperando fosse solo adesa. Chiusa, decisamente chiusa, e sono già le nove passate e inizia ad essere tardi per fare qualunque cosa.
Partono telefonate che mi fanno solo fomentare nell'odio per i francesi quando mi sento dire "mi dispiace, ma io non ci posso far nulla. No no, è inutile che mi stia a richiamare, tanto non so che farci". Mentre impreco mi butto sulle scale, l'altra palazzina, busso sulle porte, cerco vicini... Ma o non c'è nessuno o sono tutti sprovvisti di qualunque attrezzo per lavori domestici, giusto un paio di miseri cacciaviti e di chiavi totalmente inutili. Partono così i tentativi di scasso, mentre scopro che se la laurea va male non posso neanche riciclarmi nella delinquenza, totalmente negata! Tentativi di forzare la chiusura e farla scattare con fogli e tessere di plastica, la mia arci subisce un triste destino e le chiavi rischiano solo di devastare definitivamente l'imboccatura della maniglia o rimanere incastrate.
Bene, lascio lì e scendo a cercare ancora qualcuno per aiutarmi, inutilmente, e allora schizzo fuori, alla ricerca di un qualche negozio che ancora aperto possa offrirmi utensili vari. Incredibile, ma pure il cinese ha già chiuso, c'è solo un supermercato che purtroppo ha un miserissimo reparto di ferramenta. Compro qualcosa, almeno per tentare, e di nuovo corro fuori, mentre l'aria fredda inizia a bagnarsi.
Va beh, a questo punto cerco cibo visto che sono già le dieci e in cucina non posso andare. Salto i vari kebab per finire davanti ad un'insegna gialla, falafel. Mi fermo, guardo dentro: deserto, solo alcuni uomini che guardano in alto una televisione. Spingo la porta ed entro.
-Bonne soir... Un falafel, s'il vous plait, à emporter.
Il mio francese e quello del signore arabo che gestisce il locale sono parimenti pessimi, mentre io sono l'unica cliente, già tutti i fuochi spenti, prepara solo per me.
-Ci vorranno cinque minuti, -mi dice- sedetevi, vi prego.
Io resto in piedi, mi guardo intorno, e finalmente ferma rallentano anche i pensieri, prendendo un moto di onde calme. Tovaglie a quadri bianchi e rossi, sedie turchese in cui lo smalto inizia a saltar via, rivelando l'ossatura di ferro che qua e là mostra tracce di rosso ossido. In un angolo un vaso di ceramica, dipinto di colori accesi, steli di menta a spuntare dalla sua bocca e il capo chino nella linfa persa nel giorno. Dita grosse, ruvide ne strappano qualche foglia, lasciata cadere in un bicchiere di vetro che già sul fondo ha polvere nera e zollette di zucchero bianco. L'acqua calda libera l'odore della menta, subito dolce, un'offerta per me mentre mi siedo, ospite improvvisa e improvvisata in una serata di pioggia.
Guardo fuori, le gocce d'acqua attraverso le luci di macchine e lampioni, le poche persone a camminare veloci, vicine per bagnarsi meno e parlar fitto.
Le mani assorbono il tepore del vetro, il the dolce scende e scalda il corpo in questa serata dell'assurdo. Sorrido, di cuore, guardandomi attraverso il vetro in un mondo surreale.
Un saluto cortese e occhi gentili, vado via correndo mentre mi stringo addosso la maglia aperta e la sciarpa leggera, la pioggia mi bagna appena. Casa.
Continuo a protestare, imprecare, ma perchè quella è la parte e io per voi sono diventata personaggio.
Ma in fondo sorrido, felice di quell'angolo di mondo.


[Giusto per dare conclusione agli eventi, nonostante nessun cavaliere lancia in resta abbia risposto al grido di aiuto di una fanciulla che languiva in prigionia -e qui ci si rende conto delle mie mancanze in fatto di lavori pratici e di quanto possa essere problematico non avere a portata mani maschili- un valente riparatore tutto fare è infine riuscito a scassinare la porta risolvendo ogni dramma!]

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