martedì 22 aprile 2008

frammenti improvvisati

Esseri rotti, smembrati, frazionati. Allontanati da Dio e dal Mondo, convinti di poter tornare a sè, di poter trovare rifugio in sè. Ma senza rendersi conto che già ci eravamo persi lungo la strada.
Prima ci si è atomizzati, si ha perso quel posto in un kosmos che nel suo ordine dava un luogo in cui stare, in cui tornare, in cui essere presso di sè come a casa. Vi abbiamo rinunciato per una mera causalità senza fine, solo immanenza, nessun télos. E così abbiamo iniziato il nostro distacco disincantato.
Mondo freddo, inerte, non più energia a farlo respirare, macchina, ingranaggio che tende al movimento perpetuo senza un perchè. Noi come ruote dentate, in mezzo a noi le convenzioni come cinghie che trasportano il movimento. Non c'è più nemmeno contaminazione.
Ci si è abituati ad esistere smembrati e separati, a vivere a compartimenti stagni, ingranaggi per la società, persone complesse, plurali, con un nucleo a pulsare, nelle parentesi d'intimità. Ma quest'abitudine a viversi spezzati ha fatto sì che non ci fosse più nemmeno un sè a cui tornare.
Atomizzati nel mondo e in noi stessi, una testa separata da un corpo, noi pure teste d'angelo o pure frazioni di corpo. Ma cosa sia essere integralmente sè, lo si è dimenticato.
Siamo frammenti, difficilmente ricomponibili. Ci osserviamo dall'esterno perchè abbiamo perso quell'unità che consentiva lo sguardo pieno, abbracciarci interamente con un colpo d'occhi.
Noi scissi ci osserviamo vivere in una pluralità di sè che non è più in grado di far parlare le sue diverse componenti, personalità multiple, mute e racchiuse in un unico corpo.

Cosa resta?
Restano le storie.
Restiamo noi come storia raccontata che ci torna nelle parole dell'altro.

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