mercoledì 20 agosto 2008

Finist Belfalco

-Babbo! Dalla nostra sorellina, di notte, c'è sempre qualcuno che parla con lei. Anche adesso!
Il padre si alzò e andò dalla figlia minore, entrò nella sua stanza, ma il principe già da un pezzo si era trasformato in penna ed era nella sua scatoletta.
-Ah, voi, linguacce, - si rivolse il padre alle altre figlie. -Invece di lanciare accuse infondate fareste meglio a badare a voi stesse!
Le sorelle maggiori vegliarono e vegliarono finchè una notte videro il falco entrare dalle finestra della loro sorella. Decisero di ricorrere ad un'astuzia.
Non appena fu buio con una scala salirono alla finestra della sorella e, tutto intorno, vi conficcarono coltelli affilati ed aghi acuminati.
La notte arrivò Finist Belfalco e per quanto si dibattesse non riuscì di entrare nella stanza. Si ferì il petto, si tarpò le ali. Ma la ragazza dormiva e non potè sentire.
- Addio fanciulla! - disse egli. - Se vorrai trovarmi, dovrai cercare oltre i monti e al di là del mare. E mi troverai solo quando avrai consumato tre paia di zoccoli di ferro e tre bastoni di ghisa ed avrai rosicchiato tre pani di pietra!
La fanciulla nel sonno sentì queste parole spiacevoli, ma non potè svegliarsi nè levarsi e continuò a dormire.

I miei gomitoli si srotolano dalla parte sbagliata. Tento un lancio, un passo, e il filo s'ingarbuglia, s'intriga tra i rami. Non c'è strega a cui chiedere, nessuna prova da superare, nessun ostacolo da ridurre in briciole.
Se pianti aghi e coltelli le ferite saranno la moneta di scambio. E allora di che ti stupisci?
Come Finist, l'unica cosa che resta da fare è aprire le ali, prendere slancio, volare lontano.
Resta pure coi tuoi coltelli. Sai che non li riporrai nemmeno per te.
Ferire e ferirsi, per quel che si è. Non per un gesto, nè una parola, ma tenere lontani per la propria essenza.
Che c'è qualcosa di profondamente sbagliato, ma quando siamo troppo vicini si smette di riuscire a vedere.
E allora non riesco a guardarmi, estranea e lontana.
Sento i coltelli ma non ricordo più dove li ho conficcati. E come sempre riuscirò a ferirmi e ferire chi si avvicina.
Come Finist, le ali lacerate faranno gettarsi in volo. Ma i miei coltelli sono penetrati fondi a terra, e dritti dentro al suolo mi terranno conficcata in esso.
Mi strazio le labbra per ridurle al silenzio, dalle loro gocce di sangue nessuna parola, che chi mi è caro non debba subire le mie paure.
Corpo inutile che non sa parlare, che diventa un peso da portare con sè, pesante e grave. Viso irregolare e composto male, che non sono gli specchi a saperlo riflettere. E ora resta scomposto e rotto, senza occhi da guardare che sappiano rimetterlo a posto, che lo schiariscano con lentezza, dolcemente attenti.
Sono conchiglie rosa quelle che tieni in mano, raccolte dal mare. Sono ancora cariche dei suoi umori e dei suoi sapori, sanno ancora far suonare leggero il vento che sa di sale.
Le tue parole come conchiglie ancora bagnate di mare, tra le mani per accarezzarmi il corpo.
Ma sono schegge, cocci e frammenti, e all'acqua che leviga restano fratture scomposte e tagli acuti a stridere e graffiarmi scivolandomi addosso, scivolandomi dentro, inerti senza sapere.
E cerco di non pensare e guardare il mare, a cercare il rosa madreperlaceo che riflette il cielo, ceruleo cupo che s'immerge nell'indaco.
Non penso e lascio che le onde mi bagnino, riescano a sommergermi, possano portarmi via. La sabbia non offre sostegno e ad ogni risacca posso solo sprofondare un poco in più, trattenere il respiro e sentire il sale che brucia forte.
Ci credi? Tu ci credi ancora?
Non riesco ad opporre resistenza all'acqua e ogni volta mi lascio sommergere.
Forse anch'io una conchiglia rotta in balia di scogli e sale, acqua che lava e porta lontano, porta via senza lasciarsi in ricordo.
Io e i miei coltelli, i miei coltelli che fanno male e portano lontani.
Finist Belfalco vola via senza parole e io non ho gomitolo per ritrovarlo, nessuna strega mi indicherà la strada.
Io sono i miei cocci di vetro. Io sono i miei no. Io sono i no che pronuncio e che mi vengono detti.
Stretti tra le dita per gocce di sangue, conficcati in gola per imporsi silenzio.
E lacrime strane sciolgono il tempo per un presente che non ha fine, fatto di no che uccidono lenti, no per sentirsi negati.
Sogni che non vengono e un sonno che giunge senza avviso, sotto un cielo troppo chiaro fatto di luna bianca e sgombro di nuvole. Addormentarsi piangendo e svegliarsi sotto la pioggia che viene.
Cocci di vetro per farmi male e farmi far male, senza riuscire a vederli, senza riuscire a sottrarmene.
Forse m'incanto troppo a vedere il sole che filtra e cangia, prisma fatto di bordi taglienti che spande la luce in colori vivi.
Ferma, senza capire nè riuscire ad andarmene, inseguo la luce bramandola per sentirmi viva.
Ma Finist Belfalco vola via, e io ho lacerato troppo le ali per potermi alzare in aria. Lame di luce filtrano tra i tagli e s'infrangono sulle gocce d'acqua che lascio cadere per terra.
Persone amate. Per ricordarsi che non si è solo vetro in frantumi, che talvolta i cocci di vetro sono piantati profondamente anche negli altri, e non sei tu a ferire ma sono i cocci conficcati sotto pelle a far sanguinare e piangere, anche se non riesci a vederli.
Persone amate per riuscire a guardare i propri cocci di vetro.
Persone amate nella piena luce del giorno.
[Finist Belfalco, fiabe russe]

Nessun commento: