giovedì 28 agosto 2008

random mind

Marmellata d'arance grezza, mele a pezzi e arance in frammenti che si rompono morbide, la buccia tagliata fine, quasi inosservata.
Inverno pieno, una casa piccola al settimo piano.
Da piccola avevo ricevuto dei cioccolatini, una scatola intera. Erano finiti sul fondo di un cassetto, nascosti per bene perchè in casa non venissero fatti fuori prima che io nemmeno potessi sentirli. Conservati con gelosia maniacale, senza toccarli perchè non finissero, e alla fine la cioccolata sapeva di sapone, di tutte quelle roselline bianche che profumavano i cassetti di legno pesante. Confessioni di un viso triste e un tesoro ormai inutile.
Non bisognerebbe conservare le cose così a lungo. Tenerle in un angolo, chiuse al sicuro e al riparo dagli sguardi, convinti di tenerle così in serbo per un domani. E poi, quando andiamo a cercare ciò che abbiamo con cura messo via, scopriamo che nel silenzio ha cambiato forma. E non riusciamo più ad avvicinarci, a gustarne il sapore o il profumo, a sorriderne.
Marmellata d'arance, conservata per mesi, con cura, forse senza sapere nemmeno bene perchè. Oppure sì, tenuta per colazioni immaginarie in giorni che poi non sono venuti. Ma a un certo punto bisogna lasciar andare, accettare che l'inverno è passato e con lui anche la primavera. E ora anche l'estate sta per finire. Pochi mesi e ci saranno le arance nuove.
E ieri ho aperto il vasetto, pane appena fatto e burro leggero per foglie gialle di fine estate.

Carezze che non sanno di esistere, bruciate d'ocra in contatti troppo forti che dimenticano dolcezza e cura. E forse per quello il mio viso prende tinte spente di viola, nel bisogno di abbracci per mettersi a nudo, calore dolce per sentirsi al sicuro.
Pane caldo appena imburrato, e lenzuola di burro per scivolarsi addosso, senza peso sospesi nel tempo.
Passare la notte avvolta nel tuo abbraccio, braccia a circondarmi e tenermi stretta per respirarti. Respirare il tuo odore per tutta la notte e conservarlo fino al mattino.
Sorrisi che commuovono e colmano il corpo intero, in doni lontani di serenità pura, montagne salde che offrivan riparo. Il tuo, desiderio di abbraccio ricevuto in dono, solidità di monte che avvolge e rallenta i pensieri, dolcezza d'ombra di pietra forte.
Sfruttare la notte per cacciare il giorno, potermi adagiare su te a chiudere gli occhi, respirando lenta.
Maledire il mattino che allontana e porta via.

Bambino tenuto in groppa, spalle larghe che sanno accogliere, spalle forti che sanno dare sostegno. Mani grandi che ne stringono altre, mani piccole e ancora incerte, abbozzate nelle forme e nei gesti, morbide nel muoversi e nel disegnarsi.
Occhi limpidi e un sorriso chiaro sul volto di un ragazzo forse uomo che mi commuove senza motivo, solo per quella sospensione senza peso che brilla di vita.
E poi un altro bambino, poco più grande ma quel tanto appena da poter camminare da solo, passi come sonagli che ridono incespicando. E le fiamme calde attraggono troppo, per piani fatti di finta sete, una bottiglietta d'acqua tra le mani perchè le candele non brucino più.

E ti parlo di me, ti racconto quel che succede, delle persone che ho intorno, di quelle che conosci e di chi ho incontrato da poco. E le tue parole sono il vento che le nuvole stanno conservando per il grigio futuro, quelle carezze di mani fredde che le guance ricevono come fossero schiaffi.
E io uso troppe parole, cerco di chiarire dove non c'è bisogno, e mi dici che forse qualcosa non va.
Tentativi di coprire silenzi.

Note di amici e parole in silenzio tra colori e luci di una città in festa. Viole cantate e rose appassite, parole che suonano amare mentre il mondo intorno si ovatta e scompare, i pensieri pulsano in ricordi mai nati.

La tua città sparisce, e con lei il fiume di auto di un traffico troppo pesante che non rispetta il bianco barocco che mangia il sole che cala. Tutto scompare mentre intessi parole per scrivere i miei sorrisi.

Luoghi dalla freddezza industriale, pavimenti rotti, fatti di solo cemento. Fa freddo fuori e dentro, fino alle ossa che sono talmente ghiacciate da rischiare di spezzarsi di colpo.
Inverno denso e quella pianola a fiato che suona, mentre io abbasso gli occhi tristi a terra senza accorgermi che mi stai guardando.
Torna indietro, torna tempo che non è più, torniamo noi sospesi e si sente l'inverno che romba mentre fuori suona il mare.
Penso a quella lanterna che non è mai volata e vorrei che la facessi volare per noi. Una sera vai sulla spiaggia, vai solo, e incendia il cotone dentro alla carta chiara, falla salire in una notte d'inverno, regala la luna a quei bambini che credevano di poterci arrivare in un soffio.

Sono musicisti, artisti di strada, mimi e mangiafuochi. E poi ci sono maschere vestite di broccato, che ti guardano gli occhi per leggerti il cuore. E tu non ci hai mai creduto, e per dimostrarmi che in loro non c'era nulla di vero mi hai dipinta come sabbia fusa che cola da una clessidra bruciante di un fuoco rovente.

Campanelli d'argento per svegliarsi e vendere fuoco, donarlo nelle scintille che salgono leggere, incoerenti e senz'ordine alcuno, vive.

Grumi dolci in fondo a sè, pulsanti.

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