lunedì 2 febbraio 2009

sulle tracce

E' questione di dettagli, e una volta persi quelli non resta poi molto a cui tenersi.

Da sempre mi innamoro in pochi secondi, di gesti, movimenti del volto, di un cappotto... che poi diventano la persona intera, racchiusa e descritta in quell'unico particolare.

Era una sera d'inverno, i locali già chiusi e le luci basse, a tinte arancioni sui mattoni in cotto del centro, i sassi tondi del selciato. Era una sera passata a pedinare un ragazzo dal cappotto di panno nero, lungo fino al ginocchio, abbottonato di lato e col colletto all'orientale.
Forse aveva gli occhi azzurri e la pelle chiara.
L'ho rivisto d'estate, quel ragazzo, vicino alle tende nere che chiudono La Luna quando ci sono i concerti per non far vedere dentro. Ma i suoni passano, anche se offuscati, e si sta lì seduti per terra o in equilibrio sui sellini delle bici, un piede a terra e l'altro sul telaio, a godersi l'aria di giugno quando il sole tramonta.
Nella pianura padana tramonta tardi il sole di giugno, che non ci sono ostacoli all'orizzonte e il cielo continua fino a dove può arrivare lo sguardo.
Aveva una maglietta bianca, stropicciata, come c'avesse dormito. E d'improvviso in quel cotone dismesso si è dissolta la magia del cappotto invernale, allacciato di lato e col colletto basso, girocollo come si porta all'orientale.
Ogni tanto lo incrocio ancora, il "ragazzo del cappotto", e anche se lui non sa chi sia appena lo supero e non può vedermi gli sorrido ogni volta.

Sono dettagli, che ti fanno fissare gli occhi in un punto e non sai più tirarli via.
A volte è un sorriso, di solito per me è il modo di guardare, limpido e aperto, diretto.
Mi incanto negli sguardi che sanno prendere in sè, accogliere senza voler dividere il mondo in bianchi e neri.

Dettagli, che quando si allontanano restano in tracce sfilacciate.
Toni, esclamazioni, profumi che d'improvviso ritroviamo altrove, a centinaia di kilometri di distanza, di cui avevamo perso ogni ricordo ma che di colpo si ripresentano vivi.
Sono mozziconi di parole, le più udite.

Forse è il mio nome, nelle sue tante storpiature, unico per ogni persona che mi sia entrata dentro, che mi richiama.
Ognuna mi dà il suo nome, nuovo nome con cui rinascere ogni volta, per altre mille vite.

In fondo, le voci ho imparato a farle tornare.

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