venerdì 7 agosto 2009

cartoline

Lasciare Lisbona alle spalle per tornarci in un colpo d'occhi voltando la testa quasi di sfuggita, per non indugiarci troppo. E di nuovo trovarla lì, a carezzare il collo come una sciarpa di cotone grosso dai fili crudi e dal tocco irregolare, a lasciare passare l'aria.
Il vento soffia forte a Lisbona, e porta tracce di sale con sè; risale le strade acciottolate di bianchi e neri lucidi che specchiano il cielo, con le nuvole basse a far da scia e a riflettere la città sopra le nostre teste in tratti d'azzurro capovolti.
Passi su passi l'hanno lisciata e lucidata, Lisbona, mentre le mattonelle ritengono gli occhi tra bianchi, azzurri, verdi, gialli e viola; si ascoltano viaggi trattenuti in un respiro che non c'è, ammutolito e disperso tra salite e discese.
Si sale, si sale, e talvolta lo si fa a piedi nudi e le scarpe in mano, con le braccia aperte in un principio di volo, con le piante a trattenere al suolo e le dita a puntare al cielo.
Si sale, si sale, e si arriva in alto, tra le pietre scure a chiudere di fresco il castello, e fermarsi con la schiena appoggiata al tronco di un ulivo sottile cresciuto in una manciata di terra, nodoso e inviluppato su se stesso a invocare con i rami il cielo mentre le radici stringono patti di terra.
Lo sguardo si perde e apre tra le stradine strette, e incontra il Tejo, fiume che sa di sale e sembra un mare, mentre gli azzurri sembrano non finire mai.
All'andata riceviamo il benvenuto da fiori blu cobalto, schizzi vividi su un muro di sabbia; ma al ritorno è come se nel calore del giorno avessero dovuto cedere all'aria i loro toni più carichi, e mentre il blu è andato ad incupire il cielo preparandolo per la sera ecco che sui petali è rimasto un viola purpureo che quasi non conosce più acqua.
Lungo la via ci adottano persone gentili, dialogando in bizzarri esperanti o più improbabili gramlot, reinventandoci artisti e saltimbanchi gli uni per gli altri, senza un pubblico che non sia quello che di volta in volta prende parte e crea la scena.
Ogni tanto quelle macchie gialle che sono i tram si inerpicano per la china, sbuffando fatica nel rumore delle rotaie; i fili in alto incorniciano leggeri la città come una ragnatela sottile e cupa.
La terra sa di cannella e ne porta il colore, gialli asciutti e secchi che si mutano nell'ossido scuro del ferro, rosso sbiadito che si disperde polveroso tra cespugli e cielo spento.
L'oceano oggi non ha onde, ma le scogliere incuneano il vento e la poca aria che c'è gonfia i vestiti come mongolfiere. Il sole si appoggia alle pietre per riposarsi del mare.

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