mercoledì 10 giugno 2009

di sbuffi bianchi e grani scuri

In treno.
La penna sfuggirà al controllo questa volta, e i sobbalzi tra un pezzo di ferro e l'altro fanno andare a singhiozzo anche me.
Il tempo scorre e non faccio nulla per fermarlo, lo lascio andare perchè intervenire si può fare solo a volte, solo quando cambia qualcosa.
Non di nuovo, non più. Ora il tempo deve solo scorrere e portarsi via la malinconia degli occhi.

Passano i casolari in mattoni di cotto, la terra toscana sa di rosso bruciato e profuma di pino e d'alloro, con la punta delle dita macchiata di nero come la cenere sui gusci lisci dei pinoli appena raccolti.

Lascio andare il tempo senza immergermici, senza volergli parlare.
Indugio, i pensieri vanno a rilento. La mano e gli occhi ritratti hanno lasciato nell'aria una scia di vuoto.

Per legarsi servono gesti di cura. Sono stati scordati da tempo.

Continuano i campi che iniziano a sapere d'estate.
Io mi faccio fredda e inizio a macinare i ricordi come farina.

Tra gli incavi della macina restano le scorze ruvide e scure, tutti i no che sono cresciuti insieme al grano e che ora spiccano impietosi sulla pietra bianca come piccole schegge nere.
Tutto sfuma nella nuvola di farina che si solleva in aria in sbuffi e volute.
Quei grani neri restano sugli occhi a trapuntare lo sguardo come un arazzo, macchie scure di quando si fissa troppo il sole.

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