ma chi si controlla
sta perdendo il suo tempo
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plenilunjo
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Non siamo qui, non davvero. Ci forziamo ad essere per contrastare uno spaziotempo che cerca di estrometterci, un mondo che penetra per contatto senza chiedere permesso, portandoci fuori da sè. Fuori da noi.
Fratture e fragili suture che cercano di tenere legati così da non finire totalmente fuori asse, così che i pensieri e i sentire possano ancora fluire senza trovare ostacoli sul loro sentiero. Ma poi inciampiamo, di continuo, e mentre facciamo finta che non sia così e neghiamo la cosa non facciamo altro che rinsaldare quella distanza fredda e lontana che si è andata a creare.
Qualcosa non funziona più, si recitano copioni imparati un tempo a memoria e resuscitati in incerte reminescenze, giocando con dei noi che forse non esistono più. Almeno non più con quella forma, in quello stare. Non ci capiamo più, non ti capisco, non mi capisci, ci feriamo in un niente, suoni uditi ma non più intesi.
Kairos che ci reclamano e noi a far finta di niente, convinti che un giorno si decideranno a tornare per noi, ci faranno ancora visita. E mentre lascio scorrere via penso che voglio essere io a negarmi ad esso, a questo spaziotempo, io a creare e decidere i miei momenti opportuni.
traccia di
plenilunjo
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Testa che risuona sorda, colpi fondi, cupi, senza eco.
Trattengo tutti i pensieri tra le pieghe sulla fronte, bloccati per non farli arrivare a occhi e labbra, tenuti dentro per farsi più male, colpirsi un po' più a fondo.
Lo sapevo. Sì, lo sapevo. Ignoravo la cosa. Facevo finta di nulla mentre mi parlavo da sola.
Non ho nome. Non ho sguardo nè voce. A volte so di essere solo un'idea.
Peraltro mia.
Non cerco risposte. Che so le cercherei nel luogo sbagliato, da chi non posso trovarle. E in fondo il problema resto io con i miei nodi irrisolti, nodi che mi diverto a stringere, gatto a nove code fatto di parole.
Chiudo, ho chiuso tutto, me per prima.
Le vergini s'impiccavano per suicidio, stringevano il collo con un laccio per chiudere il corpo, chiudersi al mondo, uscirne.
Moderna e più invisibile uccisione, i muscoli stessi diventano corda a chiudere i polmoni.
Non voglio sentire, mi chiudo al mondo, chiudo il mondo a me, lascio fuori l'aria e mi tolgo la capacità di respirare.
Chiudo, ho chiuso tutto, me per prima.
Mi rigiro su me stessa senza mai toccarmi, aria ferma, resto immobile fuori da me.
Parole inutili, giocate in tutta la loro forza per affondare, dritto alle vene, trovate con precisione, al primo colpo.
Farsa. Favola della buonanotte che mi racconto a volte perchè i sogni siano più leggeri e la smettano di rincorrermi ad ogni buio per inchiodarmi al muro, per tutte le volte che col sole non sono riuscita a farlo per bene.
Vivo altri presenti, se avessi scelto altra vita e non questa. Mondo distorto che prende vita e s'impossessa di me, del mio corpo.
Sono scene sfocate, corpi a collassare uno sull'altro, scontri in cui non sopravvive nessuno.
Violenza di contatti per riuscire finalmente a sentire qualcosa, bramare in quella violenza l'energia che hai usato per venirmi addosso.
Giudice, accusato e boia insieme, i chiodi penetrano bene a fondo.
Sentirsi usati, stracci usati, scampoli, ritagli a respirare polvere e pioggia inquinata.
Vivere di ritagli di tempo, comprati al mercato nel cesto degli scampoli. Ogni toppa un pensiero, per abiti da vendere al miglior offerente.
Ritaglio lacero.
Forse prima o poi riuscirò a volermi abbastanza bene da non esserlo.
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plenilunjo
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Contemplazioni estatiche che attraversano il corpo e lo fanno vibrare come corda pizzicata, cassa armonica che risuona lenta espandendo colori e profumi. Un sentire che non è di testa ma è un pulsare fondo, vitale.
I piedi si appoggiano sul terreno quasi potessero penetrarvi come radici, arrivare all'acqua nel sottosuolo tenuta fresca dalla terra e dissetarsi, nutrirsi di scuro e fertile. Con i polpastrelli toccare l'aria tiepida, sentirla palpabile mentre il vento nemmeno passa, giusto in alto leggero a muovere nuvole. Colori negli occhi, geometrie come arabeschi che continuano a mutare il mondo, sguardi in prospettiva, mutamenti a ogni passo. Gli aghi dei pini marittimi a ricoprire il suolo, tra campanule bianche e viola leggeri, una corteccia a scaglie dense che nella resina diventa dolceamara, miele cupo che non scivola via ma si trattiene adeso. Voci forti, accese, distanti da quel vous così formale a cui ero abituata, cortesia estrema che quasi annulla i contatti.
Mi ricarico nei cieli romani, leggeri e tersi, recupero quelle energie che i cieli grigi del nord europa mi avevano sottratto. Cornacchie scure scacciate dalle cicale che nel silenzio assolato del giorno danno un ritmo al tempo, incostante e irregolare, pensieri in moto a rincorrersi senza legami, giusto un fluire.
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plenilunjo
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traccia di
plenilunjo
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