Tutto sarebbe potuto cominciare da un pruno in fiore in Rue du Grenier sur l'Eau, a fine dicembre.
Spruzzi di rosa uccisi da un cielo incombente neve decoravano una chiesa dai gradoni quadrati, a salire storti poggiati uno sull'altro.
Sarebbe potuto iniziare in quei fiori di leggerezza, nei muri neri dei palazzi intorno, pietre scure per giardini rampicanti e porticati interni.
Poteva tutto iniziare e finire lì, o forse nelle arcate di Notre Dame, che vista da dietro è sempre più bella. Sollevata per un momento da se stessa si ricorda di puntare al cielo nel riflesso a testa in giù dell'acqua.
Inizi e fini.
E talvolta si muore in un sorriso, pronunciato quasi per caso.
Il viso si dispiega, e fa rumore d'acqua.
I posti ritornano negli odori, e un fazzoletto di stoffa tra il lenzuolo e il cuscino mi porta ad addormentarmi altrove, coi fiori piccoli intorno, come caduti.
Intorno sono i monti, alberi viola a ricoprire la Lessinia come una nuvola corposa, mentre le nuvole si muovono sull'altezza degli occhi e rubano loro acqua per annaffiare i prati.
Rami arancioni sfumano e interrompono il viola, partitura brulla d'inizio anno.
La terra scura mette i silenzi, le nuvole gli intermezzi.
Maglia di cotone e sopra lana aperta, seduta sul camino al finire della legna.
Ora so di bruciato e cenere.
martedì 5 gennaio 2010
fiori riflessi d'acqua
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plenilunjo
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martedì 29 dicembre 2009
bianchi, neri e venature in mezzo alla neve
In fondo sogno più di giorno che di notte, mi permetto fantasie
che di notte uccido senza troppe cerimonie.
Nessun fiore bianco, bare vuote di cose mai state.
Mi trovo a sognare volti e corpi
con cui non ho condiviso che un arco di ore,
in un buio inquinato di suoni che assolve tutti.
Potrei davvero annegare nel primo sorriso che mi venisse rivolto...
I sogni riportano alla realtà, contrastano bianchi e neri,
un gesto mai stato diventa mano ad allontanare.
Di questi tempi i sogni sono più concreti del giorno:
non accettano compromessi
e non si fanno abbindolare da una carezza.
Però poi è difficile vivere alla luce
senza potere più immaginare nulla.
Bel lavoro, grazie sogni miei, grazie censore interno!
Eppure forse dovrei ringraziarli davvero.
Mi impediscono che a stupirmi siano cocci di vetro e monete false.
nutrire poi di bacche bianche bianchi uccelli che saltellano intorno
diventano filigrane e venature in mezzo alla neve
e poi tutto ricomincia di nuovo
Rannicchiata potrei essere racchiusa intera
tra due braccia e un torace.
Non occupo molto spazio in fondo.
forse anche meno di quanto me ne occorrerebbe
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plenilunjo
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lunedì 21 dicembre 2009
candeline da the
Evoco Eros senza capire che non serve a nulla, che è una voce gettata nell'arco tracciato a terra tra due monti.
Io resto lì a giocare con me, per lo più sola.
Uccido i tempi lunghi facendomi intorno terra bruciata.
Mi accendo sulle spalle candeline da the, come se in quella luce tremante potessi essere una lucciola, bagliori per dire quanto non so fare con le parole.
Candeline sulle spalle, e appoggiate sul capo chinato all'ingiù.
Candeline a bruciare i tempi e ad ardere me, in gesti e sguardi che sarebbero da esiliare.
E infine, in quella fiamma che trema, brucio anch'io.
Crederai che in fondo non chiedessi altro,
io fingerò tu mi stia carezzando.
E infine ti darò ragione.
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plenilunjo
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giovedì 17 dicembre 2009
idoli
Siamo partiti col buio, col ghiaccio iridescente a incrinare i vetri, a irradiarli. Il cielo color blu notte, con un ritaglio di luna a inciderlo di sbieco.
Era notte e faceva freddo, c'era la luna e l'aria si tagliava con gli occhi. Poi è cominciata la nebbia, e il mondo è scomparso col chiarore del primo giorno.
La strada terminava, finiva nel nulla. Un respiro ad appannare il mondo e a tenerci sospesi.
Sono arrivati i monti, i colli del veneto. La galaverna costruiva qua e là sculture di ghiaccio, mondo riemerso.
L'alba alle spalle, verso le montagne uno slargo del fiume che apriva la roccia e ingrandiva la terra, vallata protetta. Costoni di pietra sedimentati a lastre, e un fiume d'acqua gelida che scorreva lento. Una casa sospesa su un appiglio di monte, ed eravamo già oltre.
L'ultimo saluto, l'ultimo grazie mentre le campane suonano al cielo terso.
Bisogna dare idoli belli alle persone. Troppo facile, mediocre, inseguire ideali bassi, quel che già ci appartiene.
Io avevo scelto te e i tuoi capelli rossi in mezzo al bosco, me e le casette di cartone e felci.
Chissà se le ferite rimarranno.
Chissà se ora che non ci sei più sapranno col tempo riassorbirsi, o se invece non hai portato con te tutte le creme e gli unguenti, e noi resteremo qui a leccarci ferite aperte...
Io qui a cercare contatti che non verranno, e se verranno saranno sbagliati.
Il tuo riso in ognuno di quei fiocchi di neve, a durare finchè non si appoggiano a terra.
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mercoledì 9 dicembre 2009
nomi d'inverno
Lasciare Roma i giorni di sole mette sempre tristezza, che sa splendere quando sopra si ritrova il cielo terso. Le case chiare tingono luce, mentre gli intonaci colorati pulsano e toccano l'aria.
Campi e colline fatti di sola terra, e dicembre sa da primo autunno.
Intorno a S. Giovanni le case più ricche e con le pergole a incorniciare le porte sono ricoperte da gelsomini fioriti. Sembra febbraio, con l'erba nuova che sa di tenero, ma talmente rada da essere poco più di un respiro di terra smossa, una foschia leggera.
Alberi senza foglie, ma sotto il sole non sono tristi e sanno d'arancio cupo, vivido.
Il sole non si riesce ad alzare da terra d'inverno, e resta sempre sulla linea degli occhi. Le cose si colorano come fosse tramonto, il cielo resta azzurro denso e la terra si disfa e ricrea tra rossi e gialli e ocre.
Come a volere appropriarmi delle persone. Tenerle legate in un vincolo di nomi creati apposta per quel legame e non per altri.
Ma forse non li uso perchè non so se posso permettermi l'intimità del tuo nome...
mi sei davvero così familiare?
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plenilunjo
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venerdì 4 dicembre 2009
pesanti come farfalle
Deserto.
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plenilunjo
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sabato 28 novembre 2009
non so fare silenzio. mi senti?
Ti voglio bene
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plenilunjo
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